Luglio 1950, 44 anni fa
Forse non sarò mai felice, ma stasera sono contenta. Mi basta la casa vuota, un caldo, vago senso di stanchezza fisica per aver lavorato tutto il giorno al sole a piantare fragole rampicanti, un bicchiere di latte freddo zuccherato, una ciotola di mirtilli affogati nella panna. Ora capisco come la gente possa vivere senza leggere, senza studiare. Quando uno è così stanco, alla fine della giornata ha bisogno di dormire e il mattino dopo, all’alba, lo aspettano altre fragole da piantare, e così si va avanti a vivere, vicino alla terra. In momenti come questi sarei una stupida a chiedere di più…
Stamattina, nel campo di fragole, Ilo mi ha chiesto: “Ti piacciono i pittori del Rinascimento? Raffaello, Michelangelo? Una volta ho copiato qualcosa di Michelangelo. E che ne pensi di Picasso?… Di quei pittori che fanno un cerchio e un rettangolino che scende al posto di una gamba?”. Stavamo lavorando fianco a fianco tra i filari e lui, che era stato zitto per un po’, di colpo si era tirato su e ha cominciato a chiacchierare con quel suo fortissimo accento tedesco, la faccia abbronzata, intelligente, increspata in un sorriso. Anche il suo corpo robusto e muscoloso era abbronzato e i capelli erano raccolti in un fazzoletto bianco intorno alla testa. Mi ha detto: “Ti piace Frank Sinatra? Così sendimendale, romandico, chiardiluna, ja?”.
Un’improvvisa lama di luce bluastra sul pavimento di una stanza vuota. E mi sono resa conto che non era un lampione ma la luna. Che cosa c’è di più bello, in una notte come questa, che essere vergine, pura, sana e giovane?… (Essere violentata).
Serata tremenda. à stato tutto l’insieme. La commedia Good-bye My Fancy, io che, un po’ puerilmente, volevo fare la corrispondente di guerra come la protagonista ed essere amata da un uomo che mi ammirasse e capisse quanto io capivo me stessa. E poi Jack, che si sforzava di essere gentile e si è offeso quando gli ho detto che voleva solo provarci. Poi ancora la cena al circolo, col solito sfoggio di quattrini. E infine il disco… quello così perfetto per ballare. Me lo ero dimenticato finché Louis Armstrong non ha cominciato a cantare con la sua voce resa roca dal rimpianto [“I Can’t Get Started”]… Jack ha detto: “L’hai mai sentita?”, così ho sorriso. “Sì, certo”. L’avevo sentita (con) Bob [un altro corteggiatore]. à bastato questo… un disco assurdo, le nostre interminabili chiacchiere, lui che mi ascoltava, mi capiva. E mi sono resa conto di volergli bene.
Oggi è il primo di agosto. Si soffoca, è umido, piove. Sono tentata di scrivere una poesia. Ma mi viene in mente la frase che ho letto su uno di quegli stampati con cui respingono i manoscritti: Dopo ogni acquazzone, da tutto il paese piovono poesie intitolate “Pioggia”.
Per me il presente è l’eternità e l’eternità è sempre in movimento, scorre, si dissolve. Questo attimo è vita. E quando passa, muore. Ma non si può ricominciare a ogni nuovo attimo, ci si deve basare su quelli già morti. à un po’ come le sabbie mobili… senza scampo fin dall’inizio. Un racconto, un quadro possono far rivivere un poco la sensazione, ma mai abbastanza, mai abbastanza. Niente è reale, eccetto il presente, e io mi sento già soffocare sotto il peso dei secoli. Un centinaio di anni fa una ragazza ha vissuto come vivo io. Poi è morta. Io sono il presente, ma so che anch’io me ne andrò. L’istante sublime, la fiamma che consuma arriva e subito scompare: sabbie mobili, sempre. E io non voglio morire.
Certe cose sono difficili da descrivere. Quando ti succede qualcosa e vuoi annotarlo, o lo rendi troppo drammatico o lo alleggerisci troppo, esagerando i particolari sbagliati e tralasciando quelli importanti. E comunque non lo scrivi quasi mai come vorresti. Io voglio semplicemente mettere sulla carta quello che mi è capitato oggi pomeriggio. Non posso raccontarlo alla mamma, per lo meno non ancora. Era in camera mia indaffarata con dei vestiti quando sono tornata a casa, e non si è nemmeno accorta che mi era successo qualcosa. Ha continuato a sgridarmi e a parlare senza posa. Così non sono riuscita a farla smettere per dirglielo. Comunque venga, devo scriverlo.
Alla fattoria era piovuto tutto il pomeriggio e io ero infreddolita e bagnata, in testa avevo il foulard di seta stampata e sopra la felpa mi ero infilata la giacca a vento rossa. Avevo lavorato sodo tutto il pomeriggio nel campo di fagioli e ne avevo raccolti tre sacchi. Dato che erano le cinque, tutti stavano andandosene e io aspettavo vicino alle macchine che mi portassero a casa. In quel momento è arrivata Kathy e senza scendere dalla bicicletta ha gridato: “Guarda, c’è Ilo”.
Ho alzato gli occhi e infatti eccolo lì, con la sua vecchia camicia cachi e il solito fazzoletto bianco annodato intorno alla testa. Da quando abbiamo lavorato insieme nel campo di fragole ogni tanto ci scambiamo qualche parola. Mi aveva dato uno schizzo a penna della fattoria, particolareggiato e disegnato con mano sicura. Adesso stava lavorando al ritratto di uno dei ragazzi.
Così gli ho chiesto: “Hai finito il ritratto di John?”. “Oh, ja, ja”. Mi ha sorriso: “Vieni a vederlo. Adesso o mai più”.
Mi aveva promesso di mostrarmelo una volta finito, così sono corsa fuori e mi sono incamminata con lui verso il capannone. à lì che abita.
Diari di Sylvia Plath, Adelphi Edizioni