Langone a raffica su Fazi e Carlotti. E sul guru
Non ci credevo nemmeno io (mi accade così di rado) ma “Klito” di Giuseppe Carlotti sono riuscito a leggerlo fino in fondo. Ma non perché è bello, perché è corto. Il verbo leggere va inteso come iperbole: più precisamente l’ho sfogliato, quanto basta per capire che il klito è solo nel titolo, che l’autore è colpevole di millantato porno, che l’unico contenuto rilevante è una fotografia dell’ovvietà enogastronomica degli anni Novanta (sushi, sashimi, carpaccio di tonno, Sassicaia, grappa di Brunello) e che pertanto il libro è stato scritto dieci anni fa. Ipotesi alternativa: Carlotti si è documentato leggendo i più recenti articoli di Bruno Vespa sull’argomento. Pensavo di averla sfangata quando mi è caduta tra capo e collo la richiesta di un giudizio approfondito. Il libro fra l’altro l’avevo già buttato via. Che fare? Ricomprarlo? Leggerlo sul serio? Mentre sono in queste ambasce mi telefona il cugino potentino, evento frequentissimo visto che la bolletta non la paga lui ma la Regione Basilicata. A Miglionico (il paese dove nacque il nonno di Massimo D’Alema) i soldi europei per completare il restauro del castello del Malconsiglio (dove avvenne la congiura dei baroni) non sono ancora arrivati, e il cugino è sempre lì a guardia di quelle quattro pietre dimenticate, dai miglionichesi in primis che, se ci tenevano tanto, almeno il pavimento della sala della congiura potevano sistemarselo da soli (non vorrei mettere fretta ma dal crollo sono passati 148 anni). Dimmi subito, l’hai letto questo “Klito” da poco pubblicato dal raffinato editore Fazi? “Sì, però dovrebbe chiamarsi Klepto”. Che bello, hai scoperto dei plagi? “Il più saccheggiato è Bret Easton Ellis, che già di suo non vale molto e figurati gli imitatori”. Ellis? Io pensavo che Carlotti fosse un esponente del pulp-revival, un neo-cannibale, un Aldo Nove altrettanto inautentico ma più giovane e più bellino. “Non ha senso copiare Aldo Nove perché già lui era un copione. Carlotti si rifà direttamente al modello originale. Mo’ ti spiego. Bret Easton Ellis, per descrivere l’abbigliamento delle donne, prendeva le riviste di moda e trascriveva pari pari le didascalie. A quel tempo era considerato un metodo molto sperimentale. Oggi invece è una pratica vetero trascrivere le composizioni chimiche dei farmaci o gli ingredienti dei prodotti alimentari”. Può darsi che Carlotti non lo sappia, da come scrive non mi sembra molto aggiornato. “No, per me lo sa, quindi è due volte colpevole, non solo scrive cazzate ma poi fa finta di crederci. Lo ha dimostrato a ‘Markette’ e a ‘L’Italia sul Due’”. Ma tu hai tempo anche di guardare la televisione? “Di ‘Markette’ me l’hanno detto, ‘L’Italia sul Due’ l’ho vista io, ha fatto una figura meschinella, che non sia un personaggio genuino lo dimostra il fatto che prima si atteggia a scrittore maledetto in stile Houellebecq e poi mette due pagine di ringraziamenti, senti qui, con ‘un abbraccio ai miei genitori Marzio e Fiammetta e a mia sorella Isabella’”. Anche i cannibali tengono famiglia. Tu che hai letto con attenzione spiegami che cosa c’entra il titolo con il testo. In qualche pagina c’è davvero qualche klito? “Di donne non c’è nemmeno l’odore, la prima parte è una lunga pippa intorno a una seduta psicoanalitica”. Un’idea da regista romano al quattordicesimo film. “Un’idea noiosissima ma almeno si capisce, poi arriva una seconda parte dove non si capisce niente, un coacervo di descrizioni di abiti e merci varie. A un certo punto insieme alla storia sparisce anche la punteggiatura”. Un marinettiano. “Pensa che questo delirio afasico è in classifica”. In classifica? “La televisione paga, cugino”. La cosa ti spinge a elaborare una riflessione sul raffinato editore Fazi? “C’è da dire che Fazi riesce a vendere il nulla”. Elido in questo è davvero un campione. “‘Klito’ può essere scambiato da qualche poveretto per un’opera sperimentale ma Fazi vende bene anche ‘Il privilegio di essere un guru’ di quell’imbrattacarte di Lorenzo Licalzi”. Imbrattacarte non so se posso scriverlo, non vorrei grane. Aspetta che guardo nei Sinonimi: pennaiuolo, penna lesta, impiastrafogli, sciupacarte, sgorbione. “Chiamalo penna lesta, chiamalo come ti pare”. Che cos’ha che non va Pennalesta Licalzi? “Anche lui ha un titolo che non c’entra niente con il libro”. Ma questo non è Licalzi, è purissimo Fazi. Il suo è un metodo: libro da una parte e titolo dall’altra. Io penso che lui pensi di essere molto duchampiano, o debordiano (déplacement, détournement, quella roba lì). “Poi ci sarebbe da parlare di Covacich”. Alt, fermati, Covacich devi lasciarlo a me, ho intenzione di fargli barba e capelli. “Ma ‘Fiona’ l’hai letto?” Per chi mi hai preso, io non sto a girarmi i pollici tutto il giorno, io ero amico di Castagnetti non di Angelo Sanza, demitiani emiliani non avevano sinecure da offrire o, se le avevano, me le tenevano nascoste molto bene. Otto romanzi al mese li può leggere soltanto un beneficato dalla sinistra Dc lucana. “Se non hai letto ‘Fiona’ per che cosa lo vuoi punire?” Per quello che scrive sul Corriere, che basta e avanza. “Fatti almeno dire che Covacich nel suo ultimo romanzo ci vuole addirittura svelare i meccanismi perversi del Grande Fratello”. Ci riesce? “Riesce soltanto a spiegare com’è facile confezionarsi una bomba in casa. Ci sono le istruzioni, c’è la bibliografia specializzata a cui attingere in caso di dubbi. Se qualcuno vuole diventare il nuovo Unabomber, Covacich è l’autore che fa per lui”. Per Pasqua cosa fai? “Sto a Potenza, a Pasquetta organizzo una grigliata in campagna. Tu vieni?” No, non ho tempo ma tu, mi raccomando, non smettere di leggere, non distrarti coi barbecue, leggi.
Camillo Langone, Il Foglio, 26.03.’05