Archive for aprile 2006

30 aprile 2006

In attesa del tuo ritorno

Qui davanti all’alba azzurra & in questa solitudine
a te: ritorna. C’è luna piena sopra i mattutini
edifici, l’ombra della solitudine sulla mia mano:
ritorna. In questo soffitto vuoto di alte finestre
le persiane si alzano, ed è arrivata gente;
a te: nel silenzio mattiniero che C’È fra noi,
ripiegato nel cuore della notte & nel pozzo nero delle Origini
qui-dentro è avanzato per incontrare lì-dentro, &
noi SIAMO avvinti sotto un suono o un gesto;
sotto la distanza, davanti al tempo, ai piedi della
foresta silenziosa, incontriamoci qui, ti amo.
Crepita un fuoco, mi sono alzata presto
prima dell’alba – amore e quanto tempo ho
bisogno di te, in tutto il mio sentire; non so
dove sei né che cosa succede, eppure
senza dubbio le stelle del mattino spanderanno la luce
in luoghi desolati, e questo solo per me
prima cosa della mattina, amore.

Janine Pommy Vega, da Poesie per Fernando
Parigi, 18/1/65

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27 aprile 2006

Così luminoso è il mondo e così dissennato

Ingeborg Bachmann e Roma
Roma, 30 marzo – 2 luglio 
Casa di Goethe, Via del Corso 18 (Piazza del Popolo)

Una mostra della Casa di Goethe organizzata nell’anno in cui la Bachmann avrebbe compiuto 80 anni, per testimoniare la sua vita romana dal 1954
al 1973. Al centro della mostra sono i ritratti fotografici realizzati tra il 1969 e il 1972 dal fotografo italiano Garibaldi Schwarze.

27 aprile 2006

Discrezione gitana

 

E io che me la portai al fiume

credendo che fosse ragazza,

e invece aveva marito.

[…] Toccai i suoi seni assopiti,

e mi si schiusero improvvisi,

come rami di giacinti.

L’amido della sottoveste

mi frusciava nelle orecchie,

come una pezza di seta

lacerata da dieci coltelli.

Senza luce d’argento nelle cime

gli alberi sono cresciuti

e un orizzonte di cani

latra lontano dal fiume.

Superati i rovi, i giunchi

e i biancospini, sotto

il cespuglio dei suoi capelli

feci una buca nel limo

Io mi tolsi la cravatta.

Lei si tolse il vestito.

Io il cinturone col revolver.

Lei i suoi quattro corpetti.

Le tuberose e le chiocciole

non hanno la pelle così fine,

né i cristalli sotto la luna

irradiano una simile luce.

Le sue cosce mi sfuggivano

come pesci colti di sorpresa,

per metà pieni di luce,

per metà pieni di freddo.

Cavalcai quella notte

sul migliore dei sentieri,

su puledra di madreperla

senza briglie e senza staffe.

Non posso ripetere, da uomo, 

le cose che mi disse.

La luce della saggezza

mi fa essere discreto.

Sporca di baci e di sabbia,

io me la portai al fiume.

Col vento duellavano

le spade dei gigli.

Agii da quel che sono:

da autentico gitano.

Le donai una cesta da cucito

grande e color paglia,

e non volli innamorarmi

perché, pur avendo marito,

mi disse ch’era ragazza,

mentre la portavo al fiume.

                             

Federico Garcίa Lorca, La sposa infedele

27 aprile 2006

Anche le patate possono essere blu

Patate blu svedesi ieri sera a cena. Cari amici. Hovvisto di Trani.

25 aprile 2006

Monologhi d’attesa e d’aiuto

Let me help you with that. Oh, come on. I don’t want anything. I just want to lend a helping hand. Look at me, I have eyebrows! I need attention. But that is all I need. Feed me attention and I will solve all your problems. It looks like you’re writing a letter. I love writing letters. I love reading letters. I just finished reading The Collected Letters of Van Gogh in three volumes. That man could write a letter. Plus, he could paint. But you, look at you. You can’t spell. I have to AutoCorrect most of your words. Don’t be mad, I have eyebrows! It looks like you’re writing a BORING letter. Let me spice it up with quotes from Vincent’s letters to Theo. Did you notice that below my eyebrows are actual eyes? These eyes of mine have seen many things but nothing more pathetic than your attempts to write a letter. Do you think John gives a shit about your problems at work? I’m going to say no. Click F10 and I’ll replace that uninteresting, grammatically weak, lexically poor sentence with one that will— Please don’t, I have more suggestions. I can change shapes! Look, I can—

Justin Kahn, tratto da qui

25 aprile 2006
L’inizio dell’avventura
Questa storia comincia così: ero da poco diventato redattore editoriale. Non so se sia lo stesso, per tutti, ma io ho cominciato con un test, venti pagine piene di errori (refusi) e incongruità di vario tipo (difformità). Ecco, mi hanno chiuso in uno stanzino e mi hanno detto di correggere un testo pieno di traccie, castagnie (le castagne, a dire il vero, non c’erano) e di difformità: l’1 al posto della l (sembrano, uguali, ma il bravo correttore di bozze vi dirà che ‘dipende dal font di stampa’), Repubblica Italiana scritto Repubblica italiana e poi repubblica Italiana ecc. (mi raccomando, prima di ecc. niente virgola). Poi ti danno il tuo primo librone, diciamo trecento pagine (i numeri, se possibile, non vanno scritti in cifre) e qualche foglio, diciamo trenta, di Norme tipografiche, dove sta scritto che la casa editrice XY-DELTA vuole URSS in maiuscolo o in MAIUSCOLETTO se non MAIUSCOLO laprimaminuscolotutteLEaltre. Insomma: avevo cominciato a fare il redattore editoriale (pagato un tanto a foglio e, per intenderci, con quattro fogli potevo pagarmi UN caffè) e poi frequentavo IL CORSO. Non sto qui a spiegare il dettaglio, perché voglio essere breve: basta dire che, in fondo, era una terapia di gruppo (troppo generico, MEGLIO: psicoterapia di gruppo). Sedici esseri umani che devono confrontarsi fra loro e pubblicamente, con dei docenti (pagati dall’ente Regione – è un ente, per l’appunto, e quindi la R va maiuscolo – a sua volta finanziato dall’Unione europea) che spiegano perché quando ti gratti il naso FORSE stai mentendo e quando dici sì ma fai di no con la testa SICURAMENTE stai mentendo. Dopo ti costringono a parlare dei tuoi desideri, o meglio tenti di nascondere i tuoi segreti mentre ti gratti il naso di fronte a quindici persone e un docente.
Quindi, ricapitolando, ero appena diventato redattore editoriale e frequentavo questo strano corso (IL CORSO), senza sapere perché (adesso mi prude la caviglia destra). A dire il vero (è la seconda volta che mi appello alla verità) un motivo c’era e qui arriviamo al titolo di questa storia che è: di quella volta che Enrico, che era anche redattore di grossi tomi, dichiarò il suo amore a Lei, che si chiama S. e che frequentava il di Lui corso ed era l’unica-vera-ragione per cui Lui andava in quel posto a farsi del male, titolo lungo, se vogliamo, ma anche promettente. Mancano dei dettagli che non ho voluto inserire per non appesantire la lettura, come il fatto che Enrico dichiara il suo folle amore il giorno di san (minuscolo e per esteso) Valentino, che S. è felicemente fidanzata, come del resto Enrico (Lui, a quanto pare, non felicemente). Per il finale invece, ovviamente, bisogna aspettare LA FINE.
Quindi il preambolo è: ero da poco diventato redattore editoriale e avevo anche, questa volta non da poco, rinunciato al sogno di scrivere un piacevole romanzo, la storia (autobiografica, certo) di Guasto (in corsivo perché anche titolo provvisorio) che ha quasi trent’anni e spiega AL MONDO perché non lavora, perché non studia, perché non si fa le domande che si fanno GLI ALTRI, ma pone a se stesso interrogativi estremamente articolati e intelligenti. Se c’avete provato, a scrivere un romanzo, sapete già parchè il sogno si è infranto; se invece non vi siete mai posti il problema, allora vi dico solo: PROVATECI. Bene, adesso viene il difficile, ossia passare dal sogno di scrivere, di cui sopra (cfr. supra), al giorno di san Valentino, con il protagonista, IO, che dichiara il suo perduto amor. Che poi un collegamento c’è, perché IO quel dannato giorno ha molto insistito su un concetto o meglio su una sequenza logica che comprendeva il vivere, il soffrire, l’amare e lo scrivere. Dato che Lui sa che Lei è legata a Lui solo da un sincero affetto – Lei dice ‘amicizia’ – mentre è legata a lui L’altro (il fidanzato-amante-compagno) da un robusto rapporto di carni, quando Lei, dopo che Lui le ha detto di aver lasciato lei L’altra (che poi un nome ce l’ha ed è A.) perché scopertosi innamorato (e chissà di chi…); quando lei, insomma, si rende conto che Lui le sta dicendo parole grosse e gli chiede di raffinare i Suoi concetti (ricapitolo e uniformo: Lei è S.; Lui è IO; A. è lei L’altra di IO; e lui L’altro è il lui di S.), IO le ho detto, durante la pausa per il caffè, a metà della lezione:
«sai, tu non c’entri, poteva essere un cane, una pietra, l’importante è provare quello che provo, perché solo così posso vivere, perché per vivere devo soffrire, per soffrire devo amare, e per amare devo vivere e [per amare] devo scrivere [TESTUALE]».
Ora, tralasciando e per amare devo scrivere (diamine! una cagata la possono dire tutti), la sequenza logica, per me, non fa una piega. Guasto, quello del romanzo, non fa niente perché non ama, crede di amare, ma se amasse farebbe qualcosa, ed infatti IO faccio il redattore editoriale e soffro perché ho scoperto come mai si pubblicano tanti libri. SPIEGAZIONE SINTETICA: le università considerano la pubblicazione di un saggio come benefit (per le parole straniere non ancora pienamente in uso nella lingua italiana il corsivo non è optional). Il dirigente della SALCAZ SRL ha l’auto e il telepass gratis; il cattedratico un bel libro: ogni pagina (formattata, redazionata, corretta, collazionata, stampata, distribuita) ha un prezzo; se hai fatto carriera avrai un volume tutto tuo, se invece il tuo prestigio accademico è tale e quale quello di un piffero traverso ti devi accontentare di un opera colletanea (il classico A CURA DI, cinquantasei saggi, centoventisei autori, quindici pagine a saggio). IO – Lui, Enrico – redaziona questo, studi sul mobbing nelle scuole elementari di Mazara del Vallo, o sul matrimonio degli Aborigeni, che in realtà non si sposano ma vanno a cercarsi sotto le pietre i princìpi di vita dei figli non ancora nati. Quindi è chiaro che soffre e, se soffre, ama e vive e scrive (non fa una piega, no?).
Ma torniamo alla FINE: Loro sono rientrati in aula, Lui guarda Lei nella speranza che anche Lei guardi Lui, ma non è così. Allora scrive un biglietto per darglielo e fuggire:
«[lo sto ricopiando pari pari, giuro] non è colpa mia, mi è salita sta cosa, piano/ piano/ no, non è colpa mia, non si scelgono ste cose/ non si sceglie di non mangiare, non si sceglie di non dormire/ ma credimi, è bello non mangiare ed è bello non dormire/ è bello sentirsi vivi e camminare confusi/ ogni respiro vale doppio [apice del momento poetico] e sono felice/ posso solo dirti grazie/ perché nei tuoi occhi ho ricominciato a respirare».
All’improvviso però Enrico decide di non fuggire, di fare un ultimo tentativo: tossisce, attira l’attenzione di S. e le mima VADO VIA, SEGUIMI, ORA. O meglio, crede di averle mimato quelle quattro parole (e due virgole), ma forse si è confuso e ha detto IO ESCO: FRA VENTI MINUTI, SE TI VA, RAGGIUNGIMI, e in effetti aspetta un bel po’, ma non è un problema perché Lei alla fine esce e Lui si fa accompagnare alla stazione (si fa un’ora di treno ogni giorno). Per tutto il tragitto IO penso che farei ogni dannata cosa per un bacio, dico un-solo-bacio (i due trattini congiuntivi per dare l’idea dell’unicità), mentre Lei mi racconta di come ha conosciuto il suo d
i lei L’altro, di come questo di lei L’altro le è stato vicino nei momenti difficili ecc. Sono le ore 19.23 del giorno di san Valentino, in un auto bianca che accellera e frena, accellera e frena, due persone fanno un vecchio gioco che si chiama: sì lo so che ti sei reso ridicolo, ma non ti preoccupare, io sono bella e non sai quante volte mi è già capitato, quindi non ti preoccupare (e sono due!) perché possiamo fare finta di niente. Ma Lui non ha nessuna intenzione di fare finta che tutto questo non sia mai accaduto e decide: PRIMO – ¬che non andrà mai più al CORSO; SECONDO – che tenterà di baciare S. prima di andare via, verso i binari uggiosi (non piove affatto, ma IO sono convinto di sì); TERZO – decide di voler essere felice, perché non c’è altro modo per esserlo se non scegliere di esserlo.
La stazione è davvero piccola, è solo un muro che divide IL binario dalla strada, il treno sta arrivando, Lui la guarda e le dice che non si vedranno mai più: esco dalla macchina e sparisco senza voltarmi.
Ed ecco IL FINALE: Lui sale sul treno e si accorge di fare una cosa che non si aspetta, sorride. IO guarda il suo riflesso confuso col paesaggio scuro (insomma: guarda fuori dal finestrino) e lo vede, Guasto, e anche lui sta sorridendo.
Enrico Piscitelli, Questa storia comincia così, racconto pubblicato qui

25 aprile 2006

L’Apple dadaista

C’era una volta una mela a cavallo di una foglia
cavalcava cavalcava cavalcava
insieme attraversarono il mare e impararono a nuotare.
Arrivati vicino al mare
dove il mondo diventa mancino
la mela lasciò il suo vecchio vestito
e prese l’abito da sposa più rosso, più rosso
La foglia sorrise:
era la prima volta di ogni cosa,
riprese la mela in braccio e partirono.

Giunsero in un paese giallo di grano
pieno di gente felice
pieno di gente felice
si unirono a quella gente e scesero cantando fino alla grande piazza
qui altra gente si unì al coro
– Ma dove siamo ma dove siamo –
chiese la mela
– Se pensi che il mondo sia piatto
allora sei arrivata alla fine del mondo
se credi che il mondo sia tondo
allora sali,
incomincia un girotondo –
e la mela salì,
salì, salì, salì, salì
la foglia invece salutò,
salutò, salutò
rientrò nel mare e nessuno la vide più
forse per lei il mondo era ancora piatto.

Area, La mela di Odessa (1920), dall’album Crac del 1975

24 aprile 2006

Una pausa nel cammino

l’assenza e il silenzio. viaggiando fa bene coltivarli.

24 aprile 2006

Torna Ben Marcus

Amplesso con moglie rianimata
Amplesso con moglie rianimata per un numero di giorni determinato, atto superstizioso
studiato al fine di assicurare operatività protetta ai macchinari domestici.
L’elettricità, in lutto per l’assenza della forma energetica (la moglie) all’interno delle
mura domestiche, causa uno stallo del flusso verso le prese di corrente. Pertanto
occorre applicare una frizione estemporanea in luogo dell’elettricità, per sospingere
le correnti naturali agli opportuni livelli precedenti. Operazione eseguibile
con la moglie defunta che deve essere trovata, rianimata e quindi penetrata finché
il calore riempie la stanza, finché il tostapane sputa le fette sul pavimento, finché
la moglie sotto di te sorride con i denti neri e ti stringe le natiche. A quel punto si
nota il passaggio dell’aspirapolvere senza nessuno che lo spinga, alla massima velocità.
I giorni si smozzicano come tozzi di luce contraffatta, e l’amplesso viene riposto
in un angolo della mente. Ma non cessa di esistere, quel movimento all’interno
del cadavere scosso dall’energia statica, cadavere che un tempo articolava
messaggi familiari al mattino quando il sole era nuovo.

Braccio, in biologia
Braccio, in biologia, strumento a percussione, noto sotto varie forme e suonato in
tutto il mondo in ogni periodo storico conosciuto. Fondamentalmente il braccio è
una struttura su cui vengono tese una o più membrane di cute. Di solito la struttura
è cilindrica o conica, ma può assumere anche altre forme. Agisce da risonatore
quando la membrana viene percossa dalla mano o da apposito utensile, in genere
un bastone o una frusta. La varietà di tono e volume del suono prodotto dal
braccio dipendono dalla zona in cui viene percossa la membrana e, più specificamente,
dall’abilità del musicista. Alcuni effetti ritmici della percussione del braccio
possono essere estremamente complessi, soprattutto gli intricati arrangiamenti
della medicina orientale. La medicina moderna prevede fino a cinque braccia
per ogni musicista, dando così vita a un’imponente gamma di suoni e a una maggiore
facilità di accordatura. Nella medicina occidentale, il braccio avvizzito riveste
particolare importanza. Formato da una ciotola metallica con una membrana
tesa sul lato aperto, è l’unico braccio che possa essere gonfiato fino a raggiungere
una determinata modulazione. Questa pratica è nata presso gli islamici, e solo in
seguito è stata adottata nella medicina di gruppo. Il braccio avvizzito in origine era
accordato o gonfiato attraverso viti a mano sistemate lungo il bordo, ma oggigiorno
viene sovente accordato per mezzo di un meccanismo a pedale attivato dalla
persona che cammina avanti o di lato.

Ben Marcus, L’età del fil di ferro e dello spago, traduzione di Rossella Bernascone

24 aprile 2006

Questioni di tango

Lunedì 24 aprile alle ore 19,00
presso la libreria Bibli in via dei Fienaroli n.28 — Roma
verrà presentato il libro Il tango è la mia passione (Edizioni Socrates, pp. 396, € 16,80) dello scrittore-musicista finlandese M.A. Numminen. Alla fine della presentazione l’autore, personaggio eclettico e geniale, dal forte senso dell’umorismo, canterà alcune divertenti brani da lui composti (in particolare da The Tractatus Suite su testi di Ludwig Wittgenstein), accompagnato al pianoforte da Pedro Hietanen. Moderatore dell’incontro sarà Marco Pasquali.