Eva cerca Eva
Voleva scrivere un libro che parlasse di quello che non si racconta mai, dato che la letteratura, fino al secolo scorso, è stata dominata da un punto di vista prettamente maschile: così, ad esempio, si è parlato molto di morte, mentre sono poche le pagine dedicate alla nascita. Perciò Lucía Etxebarría, ex-enfant terribile della letteratura spagnola, irriverente e provocatoria scrittrice di origini basche, ha deciso di mettere al centro del suo ultimo romanzo il rapporto tra una madre e una figlia appena nata, la storia di una donna che scopre la vita, e la propria identità, attraverso quella di un’altra. Una donna in bilico, pubblicato in questi giorni da Guanda, parla di nascita, di vita e di morte. E lo fa attraverso la voce di una donna dal passato burrascoso, Eva Agulló, che rinasce solo quando lei stessa dà la vita alla figlia e dopo la morte della madre e del vecchio professore di liceo. Il romanzo ha una struttura circolare: la vita e la morte aprono e chiudono la narrazione, che si muove tra passato, presente e futuro ricostruendo l’esistenza della protagonista. Eva racconta la sua vita in prima persona, sotto forma di diario, alla figlioletta Amanda, senza omettere nulla (sesso, alcool, violenze e umiliazioni), perché la piccola sappia chi è davvero sua madre e non debba scoprire, quando lei non ci sarà più, di non averla mai conosciuta, proprio come è accaduto alla stessa Eva. Scrittrice frustrata, divenuta celebre per un’opera commerciale e di scarso valore, ex-alcoolista, fragile e abulica, la protagonista ripercorre nella lettera alla figlia la sua vita trascorsa ad Alicante, New York e Madrid, tra lavori saltuari e amori tormentati. Racconta del suo essersi sempre sentita inadeguata rispetto alle aspettative di chi le stava intorno e del suo sentirsi doppia: «Una, il mio io essenziale, la persona che sono davvero sotto tutti questi strati a cipolla di travestimenti e convenzioni sociali. E l’altra, la persona che non sono ma che ho sempre pensato di essere, basandomi su quello che dicevano gli altri di me: un assoluto, autentico, incredibile disastro». Eva (“il disastro, l’isterica, l’immatura, la cicciona”) passa da un errore all’altro, da un fallimento all’altro, fino a quando nasce sua figlia e, quasi contemporaneamente, sua madre entra in agonia. Allora comincia a riflettere, scrivendola, sulla sua storia e su quella della sua famiglia. E pagina dopo pagina ricostruisce e trova la propria identità, quella che sempre era rimasta schiacciata sotto il peso delle aspettative e del giudizio degli altri. «Molte di noi sono costrette a guardare fuori prima di trovare il coraggio di guardare dentro se stesse e aspettare che gli altri le stimino per potersi stimare da sole», scrive nelle prime pagine della lettera ad Amanda. Ma verso la fine del libro conclude che «solo quando una donna decide di smettere di essere figlia, sorella, moglie di qualcuno, solo quando trova il coraggio di pronunciare il proprio nome da solo, senza doverlo sempre definire con l’aggiunta di una preposizione, solo allora comincia a essere una persona di per se stessa». Con questo romanzo (vincitore nel 2004 in Spagna del premio Planeta) Lucía Etxebarría, classe 1966, segna una svolta nella propria produzione, senza tuttavia perdere lo stile, l’ironia e le caratteristiche che le sono ormai congeniali: dal linguaggio (che alterna accenti letterari e quotidiani) ai temi affrontati (l’amore, il sesso, i maltrattamenti, l’identità femminile). Madre da poco lei stessa, la scrittrice basca è particolarmente attratta dal tema della maternità e della relazione madre-figli, e ci rivela come certe persone abbiano bisogno di tutta una vita per imparare a vivere, proprio come Eva, che alla fine arriva a concludere che la vita stessa, come dice il titolo originale del libro, è un miracolo, “un miracolo in equilibrio”.
Recensione del libro Una donna in bilico di Lucía Etxebarría, Guanda
di Giovanna Mancini, Il Sole 24 Ore, 31 marzo 2006
1 agosto 2006 alle 15:11 |
Mi ha fatto venire voglia di leggere il libro.