Il ritmo, l’accumulo
Sul tetto
subito s’alza, sovrasta il monte –
ingombro a manca di dumoso
verde su verde, di coltri di sfatto
fogliame, di cortecce vetuste, di sterpi –
e il cappero, l’euforbia, pendono alle venture
dei venti; dove volge la costa
e chiama l’ombra e la stende sugli increspamenti,
al dorso della salita s’aprono pieghe,
conche di verde più denso, s’indovina
vescia, ranuncolo, porro, su foglia
spessa, su bronchi carponi, schiuma,
saliva di bosco, oscura rugiada di gambo
tumido, di spino, di gozzo di fusto
che trasuda, quel ch’è viscido d’iridi, che mai
vede sole (e assidue le invisibile spole
tessono, mutano, ma il giro è sempre lo stesso)
nutrito d’umido antico, di vegetale ruggine…
[…]
Lucio Piccolo, Anna Perenna
Era il pian terreno di quel castello antico, parte diruto e parte ancora in uso, un vasto e altissimo ambiente, con scale e altane e terrazzini, travi possenti e macine di pietra. E corde, carrucole, catene che a più volute pendevano dal cielo. Il pavimento di questo ch’essi chiamavano palmento, e il castello baglio, conteneva vasche, pozzi, botole da cui scendevano scale verso sotterranei. Contro le pareti erano infinite botti, sacchi, otri e continua teoria di giaroni. Sulle tavole, come scansie di biblioteca, erano formaggi, ricotte secche, e zìzole, cotogne, fichi, sorbe, azzalore, melograni, cocurbite, meloni. Da travi e canne pendevano grappoli di pomidoro, pimenti, e lardi, sisizze, fellata, soppressata. Era, quell’antro o cattedrale, il ripostiglio delle sette annate d’abbondanza.
Vincenzo Consolo, Retablo