Archive for febbraio 2007

Le strade come la scrittura, la ricerca di ciò che è assente

28 febbraio 2007

Uscendo dal negozio sono incerto. Dovrei continuare il mio percorso verso l’università, secondo i consigli pertinenti del libraio antiquario, per non parlare della biblioteca comunale. Ma è un momento in cui sento maggiormente la tentazione di perdermi, di vagare. Forse non c’è un percorso, ma solo un’intermittenza tra la probabilità e l’improbabilità. È come se ogni spostamento lo decidessi lì per lì, per vedere dove porta, e questa scoperta, poi, non fosse altro che l’inizio che cercavo. Vorrei mantenere una certa inerzia, con piccole spinte indispensabili e sufficienti.

Daniele Del Giudice, Lo stadio di Wimbledon

Come la scrittura consente la lettura della parole di chi non c’è, le strade consentono di seguire l’itinerario di chi è assente. Le strade sono racconti di coloro che le hanno percorse prima e seguirle significa seguire persone che non ci sono più.

Rebecca Solnit, Storia del camminare

Pubblicità

26 febbraio 2007

Obliquità

c’è un solo vantaggio a restare fermi invece che viaggiare. coltivare il senso dell’obliquità invece che il dono dell’ubiquità.

Invasioni nel bianco

26 febbraio 2007

Caro Einaudi, un libro come quello che lei mi propone presupporrebbe una chiarezza critica che io, per ora, non ho in materia. Siccome non ho cessato di far versi (pochi), ho bisogno piuttosto di oscurità interiore che di autocoscienza. Non sarà così per tutti, ma è così per me.
Ma arrischio una controproposta, destinata a fallire nel caso lei pubblichi solo organiche “collezioni” (perché mai le consiglierei una collezione di poeti, oggi!). Pubblicherebbe entro il ’39 la raccolta delle mie poesie posteriori a Ossi di seppia? Saranno 40, non lunghe. Con titanici sforzi tipografici, spazi sapienti e carta di un certo spessore si può farne un libro di mole normale (non vorrei la solita plaquette) da vendere a 10 lire o più. L’esito di 1000 copie sarebbe credo, sicuro. Ho venduto 3000 di Ossi di seppia, in dieci anni, è vero, ma con editori irreperibili e che han fatto di tutto per non vendere nulla. In un anno di tempo andrebbero certamente.
Ci pensi un poco, con suo agio, caro Einaudi, e gradisca i miei saluti grati e cordiali.

Eugenio Montale, lettera a Giulio Einaudi, 1939

25 febbraio 2007

Corpo nudo

Non ha bisogno di abiti
il suo corpo indossa sé stesso
nudo, terracotta,
la sua grande bellezza danza
da duna a duna
il suo passo procede
da tacco a punta
lento, ritmato
nello spazio fra una stella del mattino
e una della sera.

Vivienne Vermes, Donna di sabbia

24 febbraio 2007

Come

Lei mi traduce: Sotto ragazzi, eccetera. […] Il testo dice: Come on boys. Capisce? Lei mi ha invertito il significato. Come on boys vuol dire venite su ragazzi. Lei mi mette l’opposto, cioè non su, ma sotto. E ancora, più avanti, dove descrive l’alzabandiera a bordo. Lei ha tradotto, mi pare, i marinai si scoprirono, sì, si scoprirono, ha tradotto lei, mentre il testo inglese diceva: The crew raised their hats. Vede l’inglese come è preciso? La ciurma alzò i loro cappelli. Alzò, capisce, come a salutare la bandiera sul pennone.
 
Luciano Bianciardi, La vita agra

24 febbraio 2007

Romanzo come impaccio della letteratura?

[…] certamente quello che scrivo non si può classificare come romanzo né vuole essere tale. Sono anche certo che oggi il romanzo, nel senso tradizionale che si è trasmesso fino a noi dall’Ottocento, è un impaccio della letteratura, è un modo di non fare letteratura pur scrivendo. Credo che quando lei parla della non-esistenza, come uno degli obiettivi del lavoro letterario, dica una cosa giusta, nel senso che noi ci siamo abituati ad una forma di esistenza linguistica degli oggetti letterari che non ha nulla a che fare con la loro letterarietà o con il loro appartenere alla vocazione letteraria, al destino della letteratura… In questo senso, c’è un silenzio ma è un silenzio che libera la letteratura dai suoi compiti servili e la restituisce al suo compito che è essenzialmente quello di dar testimonianza del linguaggio.
 
Giorgio Manganelli, intervista di Carlo Rafele, tratto da La penombra mentale, Editori Riuniti

23 febbraio 2007

Interprete simultanea

Era proprio uno strano meccanismo il suo, viveva senza un solo pensiero in testa, immersa nelle frasi degli altri che immediatamente doveva ripetere come una sonnambula, ma con suoni diversi: […] era capace di girare ogni parola come su un rullo per ben sei volte, soltanto non doveva pensare che machen significava veramente machen, faire, faire, fare, fare, delat’, delat’, questo avrebbe reso la sua testa inservibile e lei doveva stare molto attenta a non venire un giorno travolta da quella valanga di parole.

Ingeborg Bachmann, Simultan

21 febbraio 2007

Il terzo libro di Greenwich
 
Il terzo libro di Greenwich sarà Three Junes di Julia Glass.

21 febbraio 2007

Majakovsky

Continuo a chiedere dove
si nasconde e ricevo sorrisi e
sguardi di sconcerto in risposta
vado lungo i viali della città,
sperando di vederlo dietro
una finestra.
Ho bussato alla porta di Lili Brik,
i vicini mi hanno gridato che
è andata a Parigi
leggo i giornali e i necrologi,
ma non trovo il suo nome.
Non è buio, stanotte,
a Mosca, a causa della neve.
Di ritorno all’albergo, c’è
una chiamata telefonica: Majakovsky
si è suicidato…
Non lo sapevo.

Etel Adnan, Majakovsky

In una vaga disperazione il vento
si dibatteva disumanamente.
Gocce di sangue annerendosi
si gemmavano sulle labbra d’ardesia.
E uscì, a isolarsi nella notte,
vedova la luna.

Vladimir Majakovsky, Pena

20 febbraio 2007

Stroncature cor core

Se uno storico falsificasse un documento, sarebbe subito espulso dall’ordine degli storici. Se un dietologo consigliasse ai suoi pazienti alimenti dannosi per la salute, sarebbe costretto, nei casi più gravi da un giudice, a rinunciare alla professione. Se Quattroruote lodasse automobili che viaggiano piano, consumano molto e costano un occhio della testa, o ne descrivesse le caratteristiche in termini così generici e superficiali che nessuno sarebbe in grado di servirsi dell’analisi, la testata (del giornale, non del motore) ne verrebbe ben presto screditata. Se un giornalista sportivo desse del campione ad un brocco, il giorno dopo mezza Italia lo riterrebbe un incompetente.
Quando invece un critico letterario recensisce benignamente un libro scadente, o ne elogia uno proprio brutto, nessuno trova qualcosa da ridire. Chi di romanzi se ne intende se ne accorge e revoca la stima al critico che ha preso lucciole per lanterne. Gli altri, i lettori comuni, cadono nella trappola. In ciò non c’è ragione di gridare allo scandalo, a parte il fatto che i milioni di persone che leggono libri deboli, banali, stupidi è come se si iscrivessero tutti insieme ad un corso di stupidità, e il successo di questi corsi è talmente clamoroso che raccattare un membro della specie umana con il quale sia interessante scambiare quattro chiacchiere è sempre più difficile. Ve ne siete accorti anche voi? Non è privo di conseguenze, far girare i cervelli di una nazione su romanzetti dozzinali.
Bene, vi sono alcuni irriducibili che al contrario preferirebbero essere circondati da gente sveglia. La difesa della vera letteratura, dell’Arte con la A maiuscola non c’entra niente. Non si stronca per fare un regalo alle Muse. Si stronca per aumentare la probabilità di scambiare quattro chiacchiere decenti con il vicino di ombrellone. Perché la buona letteratura rende complessi, acuti, ricchi di humour. Leggeri, ironici. Anche taglienti, se è il caso. Con il che arriviamo al tema del giorno. Abbiamo letto di Roberto Cotroneo che sull’Unità, travolto dal proprio buonismo, si è pentito del suo passato di stroncatore.
Lo ha fatto a partire da un libro presentato come il ritorno in grande stile di un genere ritenuto in via di estinzione, la stroncatura. Il banco dei cattivi (Donzelli, pagg. 94, euro ), da oggi nelle librerie, raccoglie i saggi di quattro critici letterari, tutti molto noti. Giulio Ferroni seppellisce l’attività saggistica di Baricco e i suoi barbari. Massimo Onofri tratta Salvatore Niffoi come un mistificatore e Isabella Santacroce come un caso di giovanilismo estetizzante. Filippo La Porta lancia nove fulminanti obiezioni al resistibile successo del «N.G.I.», nuovo giallo italiano. Per finire Alfonso Berardinelli scrive una mesta lettera al suo ex allievo Tiziano Scarpa.
Tornando a Cotroneo, «Potremmo pentirci» è una frase che compare in Aspettando Godot di Beckett, il che la dice lunga sull’assurdità metafisica di qualsiasi pentimento. Ma il bello è che dovendo agganciare il suddetto pentimento a delle tesi, Cotroneo abbia inanellato alcune affermazioni strampalate. Ha detto che «stroncare non fa bene a chi stronca» e questa è un’affermazione fuori luogo, perché di certo non si stronca badando al tornaconto. Ha detto anche che «non fa bene a chi è stroncato», e questo è ancora meno pertinente perché il recensore è al servizio del lettore, non dello scrittore. Senza contare che sotto sotto la stroncatura fa bene, non male, anche allo scrittore, se non è marcio fin nel midollo, perché lo invita a non prostituire la propria dignità letteraria per un pugno di dollari.
Cotroneo aggiunge che la stroncatura piace ai frustrati, a quelli che vorrebbero pubblicare ma non possono, a coloro che ritengono che il mondo delle lettere sia «un mondo chiuso, sostanzialmente mafioso» e qui proprio si resta a bocca aperta, perché il mondo delle lettere è così. Peccato che la stroncatura tenti appunto di rompere l’omertà di editori e scrittori, molti dei quali si farebbero torturare prima di ammettere quanto poco valga la loro merce. Ma la tesi più indisponente, un’autentica calunnia e per giunta interessata, è che la stroncatura non delegittimi solo l’autore stroncato, «ma la cultura nella sua totalità». Insomma, per chiamare le cose con il loro nome, dietro ogni stroncatore si nasconderebbe un filisteo. Quindi va da sé che Cotroneo, che in quanto romanziere è solo un freddo e subdolo dispensatore di kitsch, viene stroncato solo dai filistei. Non male, come gioco di prestigio.
Ma chiediamoci che cosa succederebbe se vigesse il divieto di critica. Chi occuperebbe in un baleno il campo non più infestato dai tre o quattro stroncatori superstiti? Gli editori, gli scrittori e i recensori costretti a dirne bene. Orwell aveva immaginato qualcosa di simile, in 1984. Che sia dunque arrivato il momento di revocare qualche idée reçue? Non esistono stroncatori inveterati. Persino ai modelli di ogni stroncatura (I Plausi e botte di Boine, le Scoperte e massacri di Soffici) non manca mai un grano di garbo e di equilibrio. Si stronca per il gusto ilare e tutto umano di smascherare, di gridare che il re è nudo, di denunciare la disonestà di chi a scopo di lucro e sulla pelle dei lettori millanta crediti, vende a caro prezzo ciò che vale poco, spaccia paccottiglia per diamantoni. Si scrive una stroncatura come un cartografo, stanco di srotolare mappe in cui le nazioni hanno dimensioni fantasiose, e il Vaticano appare grande quanto la Francia, e la Francia quanto la Cina, e la Cina quanto Saturno, disegna una buona volta una mappa rispettosa delle proporzioni. Si stronca affinché nessuno osi giudicarci così miopi o rincitrulliti da non saper distinguere la falena dalla Sfinge, l’evangelico grano dalla pula.

Fabrizio Ottaviani, “La stroncatura è cosa buona e giusta”, Il Giornale, 7.09.2007