Worcester sauce e lampi di magnesio
quando nel gennaio 1946 inizia a collaborare con il corriere della sera, eugenio montale è già il celebrato poeta di "ossi di seppia". ma la fortunata stagione fiorentina delle riviste e degli incontri al giubbe rosse è finita, e l’emergenza del dopoguerra, anche economica, richiede a montale una maggiore stabilità, che in quel frangente solo una collaborazione con un giornale gli può garantire. se dunque la spinta verso quello che definirà il suo "secondo mestiere" gli viene soprattutto da esigenze economiche, montale finirà però per nutrire verso il giornalismo una profonda passione, fatta di scolastica diligenza e accuratezza. anni più tardi, sulle pagine del corriere, vittorio sereni ne accennerà scrivendo: "se mai ho colto una punta di orgoglio nel suo discorso, questa riguardava la giovanile e presto delusa dedizione al bel canto, le sue piccole pitture, il suo lavoro di giornalista preso, questo in particolare, professionalmente sul serio". il contributo di montale al corriere del dopoguerra è caratterizzato soprattutto dai racconti, bozzetti e ricordi che confluiranno nelle varie edizioni di "farfalla di dinard", "prose d’occasione e fantasie seminarrative (un po’ fra certi ‘pesci rossi’ cecchiani e la narrativa surrealista, ma senza intenzione di bello scrivere e anzi con premeditata sprezzatura)", come li definirà gianfranco contini. emergono in particolare i ricordi della firenze fra le due guerre, nei quali montale si sofferma – scrive marco forti nel meridiano montaliano "prose e racconti" – sulla "fauna umana di snobs anglo-fiorentini o internazionali, di letterati rentiers, di scrittrici specializzate in riviste femminili d’oltreoceano, di artisti e aspiranti tali", che popolavano gli ambienti mondani della città in quegli anni. nella rivisitazione caricaturale, ma languidamente indulgente di montale, lo straordinario ritratto di josef stapps ("il signor stapps", 12 marzo 1946) diventa tra tutti il simbolo di un passato sfarzoso di ozi, di un mondo borghese e intellettuale compiaciuto, perché inconsapevole, della propria decadenza e dell’imminente tragedia: "josef stapps, un uomo grande e grosso, di quaranta-sessant’anni, azzurri gli occhi, sempre raso di fresco, con le guance paffute e tramate di piccole vene bluastre, vistosissimo nei suoi grandi ‘raglan’ a campana e in tutti i particolari dell’acconciatura, anelli con cammei, bastoni intarsiati, guanti di canguro, sciarpe e fazzoletti di lusso, portasigarette e pipe dunhill, ecc. […] cuoco perfetto, di giorno si faceva da mangiare da sé, improvvisando pietanze ghiottissime; e la sera pranzava con me nelle ‘buche’ vuotando grandi fiaschi di chianti, preparandosi difficili insalate con l’inevitabile goccia, oh rien qu’un soupçon, di ‘worcester sauce’ e discettando sulla cattiva qualità delle mostarde e del caviale. tornato a casa, sul tardi, ascoltava passare nel parco il gilly, il fantasma di non so quale suicida che verso mezzanotte trascinava il carretto sulla ghiaia". gli incontri mondani, le feste, i ritrovi sono anche i luoghi privilegiati delle incursioni di dominico braga, bizzarro personaggio esibizionista e godereccio, sedicente poeta seguace di pound, di cui montale disegna un esilarante ritratto in "date una bussola a dominico braga" (24 maggio 1946): "in una città dove quasi ogni dì si inaugurava una mostra o si teneva una cerimonia più o meno culturale accompagnata da larga distribuzione di pasticcini e di bibite, dominico sempre pronto ad autoinvitarsi per ragioni gastronomiche era stato uno degli uomini più fotografati e popolari. nessuno sapeva il suo nome, ma non c’era festa o ‘raduno’ (la parola era molto usata) in città in cui non si vedesse dominico braga apparire in prima fila e sorridere al crudo lampo di magnesio tenendo in mano un bel triangolo di pasta sfoglia. […] soprattutto gli piaceva assistere agli spettacoli di massa, alle rappresentazioni all’aperto nel giardino di boboli, alle quali non mancava mai, senza pagare l’ingresso, emergendo dai cespugli tra i folletti evocati dal regista reinhardt, sempre in maglia gialla, sempre in prima fila, sempre sorridente". la cornice della firenze fra le due guerre fa da sfondo anche a "crollo di cenere" (20 giugno 1946), che marco forti definisce un "racconto perfetto", sottolineando il fascino suggestivo del "suo doppio registro di avvenimenti: quello esterno del buffonesco spettacolo fascista-futurista che si svolge a firenze, in un punto delle cascine chiamato l’indiano, in mezzo a sciami di gerarchi scattanti e di riflettori; e di contro, il motivo interiore e infine dominante dei tre personaggi che guardano in silenzio dalla spalletta dell’arno, e cercano di stabilire un rapporto fra lo spettacolo e lo svolgersi di altri minimi eventi – il lento scivolare di una lumaca, o la caduta della cenere di un sigaro – con cui identificano magicamente il proprio destino". ritratti di una società inconsapevole e inconsapevolmente opulenta, disattenta e scioccamente ottimista, che a rileggerli oggi sono ben più attuali di quanto l’età non dica. "farfalla di dinard" esce per la prima volta nel 1956 per neri pozza. avrà cinque successive edizioni con aggiunte e varianti presso mondadori e una, nel 1994, per leonardo editore. oggi si può leggere solo acquistando il citato meridiano "prose e racconti". e francamente è un peccato.
questa geografia, che per buona parte è tratta dalla mia tesi di laurea, mi piace dedicarla alla professoressa gioia sebastiani, che di quella tesi è stata correlatrice, venuta a mancare d’improvviso, troppo giovane, la settimana scorsa.