Archive for giugno 2008

30 giugno 2008

Rampogne e pagliacci

Ma non questa è la sorte, e ben altro è il destino dello scrittore, che osa evocare alla luce tutto quello che abbiam sempre sott’occhi, e che gli occhi indifferenti non percepiscono: tutto il tremendo, irritante sedimento delle piccole cose che impastoiano la nostra vita, tutta la profondità dei gelidi, frammentari, banali caratteri di cui ribolle, amaro a tratti e tedioso, il nostro viaggio terreno; e colla salda forza dell’implacabile cesello osa prospettarli ben in rilievo e in limpida luce agli occhi del mondo! […] giacché non riconosce, il giudizio contemporaneo, che sono allo stesso titolo mirabili le lenti che contemplano i soli, e quelli che rendono i movimenti degl’invisibili microrganismi; non riconosce, il giudizio contemporaneo, che grande profondità di spirito occorre a illuminare una scena tolta dalla vita vile, ed elevarla a perla della creazione; non riconosce, il giudizio contemporaneo, che l’alto, ispirato riso è degno di stare a paro coll’alto impeto lirico, e che un abisso lo divide dalle smorfie del pagliaccio da fiera! Non riconosce questo, il giudizio contemporaneo, e tutto inscrive a carico e a rampogna del misconosciuto scrittore: senza consensi, senza echi, senza simpatie, egli, come il viaggiatore senza famiglia, si ritrova solo lungo la strada. Aspro è il corso della sua vita, e amaramente egli sente la sua solitudine.

Nikolaj Vasil’evic Gogol’, Le anime morte, Einaudi

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30 giugno 2008

Recensioni da classifica

Per vincere il Grand Prix sembrano contare in ugual misura il pilota, la macchina e le gomme; per scalare le classifiche delle vendite in libreria la formula è più variegata e quasi sempre spiegabile con il senno di poi. L’autore, il libro, l’editore, la critica, i premi, la promozione, il tam tam dei lettori offrono di volta in volta un contributo di peso diverso al capriccio della sorte. Da sempre la critica è considerata il motore nobile delle vendite, oltre che della fama dell’autore anche se sembra prevalere un certo scetticismo sul suo impatto reale. Fosse dipeso dai critici italiani dell’epoca, Leonardo Sciascia non sarebbe diventato un protagonista del secondo Novecento europeo. Interpellato su come organizzare la fortuna critica nell’ambito dell’opera onmia, affidata non a caso a uno studioso francese, ebbe a dire: «Per me sarebbe più appropriato parlare di sfortuna critica». Succede anche ai nostri giorni che autori, come Susanna Tamaro e Alessandro Baricco, pur punzecchiati dalla militanza critica, non ne colgano tracce nell’affezione dei lettori; oppure che un libro raccolga il plauso dell’intera filiera delle firme illustri della carta stampata con scarso beneficio commerciale. A volte invece basta un solo intervento, magari animato da estrosa felicita comunicativa, a decretarne il successo. È capitato a Storie di ordinaria follia di Charles Bukowski, a metà degli anni 70, con un elzeviro di Beniamino Placido che valse all’autore un posto permanente nella élite dei long-seller. È capitato a Giorgio Faletti, ad Alessandro Piperno, a Salvatore Niffoi, beneficiari di alcuni exploit fuori ordinanza di un Antonio D’Orrico in odore di taumaturgia. Un abbraccio critico indelebile è stato quello di Gianfranco Contini per C.E. Gadda e Antonio Pizzuto, ma in classifica l’ingegnere milanese supera di gran lunga il questore palermitano. Memorabile l’esordio moraviano con Gli indifferenti: pubblicato a spese dell’autore ventunenne nel luglio del 1929, raccolse nel giro di quattro mesi una trentina di saggi e articoli a firma dei grandi nomi della società letteraria, da G.A. Borghese a Pancrazi, da Tilgher a Margheria Sarfatti, ma anche i coetanei o quasi Piovene, Zavattini ed Enrico Falqui. Un romanzo che, specie in prossimità degli esami di maturità, fa ancora capolino tra i titoli più venduti. Fernanda Pivano, cresciuta all’ombra della lost generation, si è trovata poi a tenerne a battesimo qualche nipotino, come Jay McInerney e Brett Easton Ellis. La sua appassionata recensione di Le mille luci di New York (1986), pubblicata con una foto dell’autore, procurò a Jay un’immediata popolarità. «Dagli hippies agli yuppies» commentò qualcuno, memore dei trascorsi letterari californiani della Nanda. Ci sono poi situazioni ed eventi, si direbbero surrogati della critica professionale, in grado ugualmente di creare consenso. Come la rubrica che Giuliano Ferrara dedicò ne «Il Foglio» alla Versione di Barney di Mordechai Richler. In Italia non è ancora nato un Bernard Pivot capace di attirare dal piccolo schermo folle di nuovi lettori; in forme a volte bizzarre o casuali la nostra televisione ha comunque dimostrato la sua efficacia. Quanto deve Kundera, per il suo grande rilancio in Italia con L’insostenibile leggerezza dell’essere (1985), agli sproloqui reiterati del migliore Roberto D’Agostino in Quelli della notte di Renzo Arbore? Se Andrea De Carlo ha avuto come primo editore Italo Calvino, il suo passaggio a tirature di sei cifre coincide con la partecipazione a una trasmissione domenicale di Pippo Baudo, in occasione dell’uscita di Macno (1984), dove una fresca ragazza, tutta vestita, semplicemente esclamò «il tuo libro mi è piaciuto tantissimo». Per gli autori, partecipare oggi ai programmi televisivi di maggior rilievo, che quasi sempre assume la forma di una benevola intervista, ma anche un dialogo discretamente rissoso può funzionare, è obiettivo primario, e anche gli uffici stampa delle case editrici si organizzano in funzioni separate per i diversi media.

Mario Andreose, “Quelle recensioni da classifica”, Domenica del Sole 24 Ore, 29 giugno 2008

30 giugno 2008

Sacro autore

Quando dico autore non penso a niente di sacrale; non penso a una figura mitica che l’editore deve solo scovare ripulire e venerare come una pietra preziosa o una santa immagine. Penso proprio a questa complessa trama di rapporti e di incontri nella quale le persone crescono, le idee si scambiano, penso a un grande lavoro reciproco, qualcosa di molto concreto e materiale. Penso a ideologie e temperamenti anche opposti. Penso a un catalogo che trova i suoi grandi snodi in alcuni nomi che diventano simboli, percorsi riconoscibili e necessari.

Giulio Einaudi in Severino Cesari, Colloquio con Giulio Einaudi, Theoria

29 giugno 2008

Le stanze della principessa cinese

Sedicesima stanza, sconfinato è il rimpianto,
io e i miei figli, chi di qua chi di là.
Il sole a oriente la luna a occidente, si cercano invano,
non c’è modo di rivederci, sterile il tormento,
Nemmeno il giglio dell’oblio dissipa la mia pena,
pizzico la cetra sonora, quanta tristezza.

Cai Yan (177 o 178-dopo il 206), da Diciotto stanze per flauto barbaro, a cura di Anna Bujatti, Tipografia Istituto Salesiano

28 giugno 2008

Tutto più o meno uguale

Narrativa italiana: 19(24) Mal di pietre di Agus, nottetempo; 22() TVUKDB. Ti voglio un casino di bene di Valentina F., Fanucci;
Narrativa straniera: 2(2) L’eleganza del riccio di Barbery, edizioni e/o; 21(23) Eclipse di Meyer, Fazi;
Saggistica: –;
Tascabili: 11(12) Twilight di Meyer, Fazi; 13(24) New Moon di Meyer, Fazi;
Varia: –.

27 giugno 2008

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I lettori giusti 

A noi occorrono dei Lettori che ci diano un giudizio sui valori artistici e letterari delle opere meritevoli di arrivare sul mio tavolo; ma ci occorrono anche i giudizi dei lettori «comuni», i quali ci diano la sensazione esatta dell’interesse che l’opera può destare presso il grosso pubblico, indipendentemente dal suo valore letterario. Fra queste due tesi si inserirà il suo saggio giudizio, sì che la cassazione da me rappresentata troverà il grado di decidere con tutta tranquillità, soprattutto da un punto di vista economico.
 
Arnoldo Mondadori a Elio Vittorini, 24 gennaio 1958, in Il mestiere di leggere. La narrativa italiana nei pareri di lettura della Mondadori (1950-1971), a cura di Annalisa Gimmi, Milano, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, il Saggiatore, 2002, pp. 31-32

26 giugno 2008

La critica che non c’è

A quanto pare ci sono dei lettori che scrivono delle lettere lamentando che in questa rubrica noi ci occupiamo troppo di film che nessuno ha veduto e troppo poco di film che invece tutti sono corsi a vedere. Vorremmo rispondere a questi lettori che la questione non è così semplice. Lo spartiacque non passa tra film che nessuno vede e film che tutti vedono; ma tra film "prodotti" e film d’autore. […] Semmai, vorremmo domandarci perché il pubblico in genere preferisce i film prodotti ai film d’autore, cioè preferisce ciò che non c’è a ciò che c’è, ciò che non esiste a ciò che esiste. […] La risposta purtroppo non può essere che una sola. Il pubblico preferisce quello che non c’è e non esiste a quello che c’è ed esiste (o almeno tenta di esservi e di esistere) per un motivo di somiglianza e di analogia, vale a dire perché il pubblico stesso, almeno oggi, nel presente momento storico, preferisce non esserci e non esistere sul piano culturale ed esistenziale. Un film che ci fosse, che esistesse, darebbe per contrasto al pubblico l’impressione di non esserci, di non esistere e di conseguenza lo metterebbe in crisi. Che vuol dire questo? Vuol dire che il pubblico non desidera e non ama essere criticato e che il successo della critica di costume della commedia all’italiana deriva dal fatto che in questi film non c’è né critica, né costume, né un bel nulla.

Alberto Moravia, "Venga a prendere il caffè… da noi", L’espresso, 44, novembre 1970

26 giugno 2008

Che tipi gli editori!

C’è l’editore ideologico, che sceglie i libri come tessere di un mosaico a ornare la volta della sua «chiesa». Guarda alla società come a un parente che ha avuto fortuna all’estero. C’è l’editore letterario, il quale, in definitiva, non sceglie libri, ma aggettivi; la sua fortuna può essere ritardata, ma è protetta da quella polizza d’assicurazione che si chiama la qualità. […] C’è l’editore Barnum che sceglie i libri saltando nei cerchi di fuoco: gli occorrono i best seller e gli altri possono bruciare nel rogo. […] C’è l’editore tipografo, la cui statura è misurata dalle ore d’impiego delle sue macchine, condizioni comprese. C’è l’editore libraio, che un giorno si è lasciato tentare pubblicando le poesie del direttore della scuola oppure una guida della città. […] C’è l’editore erede, stilé e malinconico, inevitabilmente portato, se vuol salvarsi, a essere infedele agli antenati: poche cose si possono trasmettere ai successori e tra queste non figura l’estro personale. C’è l’editore popolare, che deve avere consonanze elementari con la «saggezza» dei proverbi. C’è l’editore di pronto intervento, come i vigili del fuoco. Non è ancora spento nella cronaca «l’incendio», che esce il libro documentario. […] Infine c’è l’editore protagonista. Che cos’è e che cos’era un editore protagonista? Quegli eccessi di valutazione dovuti all’entusiasmo, quella fiducia che precede il libro, quell’affidarsi all’intuizione invece che al marketing sono i suoi punti di forza e insieme di debolezza. L’editore protagonista ha minori impedimenti a nutrire in grande le ambizioni perché adopera tutto, anche le ambizioni altrui.

Valentino Bompiani, Il mestiere dell’editore, Milano, Longanesi, 1988, pp. 101-102

Hello world!

26 giugno 2008

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25 giugno 2008

Dolore per l’assenza della critica

Chiunque scriva oggi, e qualunque cosa scriva — romanzi, o saggi, o poesia, o teatro –, deplora l’assenza o la rarità d’una critica, cioè l’assenza o la rarità d’un giudizio chiaro, incrollabile, inesorabile e puro. Nel desiderio d’un simile giudizio, si nasconde forse la memoria della forza e della severità che proiettava, sulla nostra infanzia, la figura paterna. Soffriamo per l’assenza della critica, allo stesso modo come soffriamo per l’assenza, nella nostra vita adulta, d’un padre.

Natalia Ginzburg, "La critica", Mai devi domandarmi, Einaudi