Editoria romana e piccola editoria secondo Parente
Qui a Roma, per qualche giorno, Piazza del popolo è invasa dagli stand e dai gazebo a forma di trulli postmoderni e postmortem, dove tutti se la cantano e se la suonano come gli strimpellatori intorno alle trattorie, e in particolare, tra i 788 editori presenti, spiccano sempre gli stessi che si accaparrano il microfono. Io non sapevo neppure che ci fosse questa Fiera, passavo di lì per caso. «Ma cos’è?» chiedo a un vigile, per avere un’informazione istituzionale. «La festa della piccola editoria». «E cos’hanno da festeggiare?». Il vigile fa spallucce. Secondo me un cazzo, secondo loro molto. Basta sentire le loro dichiarazioni. Elido Fazi, in primis, che ho incontrato personalmente il tempo di fuggire a gambe levate, quando si vantava di aver scalato le classifiche di vendita con Twilight, di Stephen Meyer, così come anni fa fece con Melissa P, e infatti la sua unica ossessione è la classifica di vendita. Gli portano tabulati su tabulati, peggio dei sondaggi consegnati a papi, e lui: «La prossima settimana siamo in classifica», e in genere ci prende. La sua formula è “young-adult”, libri che vadano bene sia per giovani che per adulti, ossia minestrine buone per ogni bocca, da cui magari sarà tratto il film. (La prima volta che mi parlò per mezz’ora di Youngadult io, pur trattenendo gli sbadigli, credevo fosse un autore tedesco e mi chiedevo come mai non l’avessi mai sentito nominare). Secondo Marco Cassini la piccola editoria aiuta «a salvaguardare la libertà di pensiero», e ha ragione perché per fortuna non c’è solo la minimum fax, altrimenti il pensiero sarebbe solo il loro e si andrebbe poco lontano, e inoltre, web site dixit, non ricevono neppure più manoscritti in lettura, tanto perché sia chiara la differenza tra i piccoli di oggi e editori veri come Treves e Scheiwiller, tanto perché sia chiaro che, se ci fosse un Wallace italiano, loro non lo riceverebbero. E in ogni caso c’è la festa dell’editoria romana e piccoli editori romani d’oggi, insomma, tirano fuori l’argenteria, e qual è l’argenteria? Per minimum fax i documentari di Lucarelli e Camilleri, Voland la solita Notomb e gli “autori dell’Est” gonfiando le piume o le spine con L’eleganza del riccio, la Nottetempo, di Ginevra Bompiani, si compiace del successo di Milena Augus e rilancia con Silvia Rochey e Sandra Petrignani e non contenta manda in libreria pure un librino di Carofiglio. Non poteva mancare Alberto Gaffi Editore in Roma, il sosia di Mussolini, che a Piazza del popolo fa leggere il racconto fantapolitico di Carmine Fotia La rovina romana, ambientato nel 2016, perché ogni paccottiglia delirante di autore respinto prima o poi, se lo respinge anche la Hacca, lo pubblica Albertone Gaffi. Il quale Gaffi, tuttavia, nel suo essere tratto da una commedia italiana anni settanta, nel suo sembrare la caricatura di tutti, è il migliore di tutti, tenendo conto che Fandango, ormai, sono Baricco e Veronesi. Alla Castelvecchi non c’è più l’altro legittimo Albertone (ora fuso con Aliberti -come tempo fa con Cooper, che è adesso è Cooper senza Castelvecchi- nell’ennesima mutazione Aliberti-Castelvecchi), e in compenso, al suo posto, è stata insediata, ad interim, l’ex moglie di Alberto, tale Alessandra Gambetti, finché la sventurata andava d’amore e d’accordo (i sussurroni gaddiani dagospiniani mormorano un po’ troppo d’amore) con Pietro d’Amore, boss della Vivalibri srl, finché, causa dissapori poco amorosi, non è stata sostituita da nuovo direttore editoriale, che nel bene e nel male non sarà mai il mitico Alberto.
Comunque sia, grandi o piccoli, hanno scalpitato tutti per lo Strega, Fazi mandando Cesarina Vighy, Newton Compton Massimo Lugli, minimum fax ci ha provato con Vasta, tutti contrari agli inciuci e ai Ninfei editoriali solo perché non li danno a loro. Intanto romanzi e libri importanti dell’ultimo decennio e negli ultimi tempi, come Le benevole, l’ultimo Vollmann o il Moresco di Canti del caos e Lettere a nessuno, lo hanno fatto rispettivamente Mondadori (per volontà di Antonio Franchini) e Einaudi (per volontà di Severino Cesari), la medesima Einaudi che però non ristampa la Trilogia di Beckett, non ristampata, in ogni caso, neppure dai piccoli, c’è poco da festeggiare, e di Curzio Malaparte se n’è ricordata l’Adelphi di Calasso. Quindi una favola della morale alla fine c’è, il ribaltamento dell’orgoglio storico del piccolo, che era di fare cose buone che i grandi non facevano. Se i piccoli editori fossero ristoratori, oggi si vanterebbero di aver sfornato un Big Mac identico al Mc Donald’s, sbattendosene di finire sul Gambero Rosso e puntando dritti alla cassa, avendo capito che il Gambero Rosso dell’editoria italiana sono i critici italiani che sono tutt’uno con le classifiche, almeno a breve termine, perché poi la storia è spietata. Quindi assaltano le classifiche di vendita e se ne vantano, e buon per loro, e se falliscono, alla fine, poiché se tanto mi dà tanto non è poi tanto, poco male, cazzi loro.
Massimiliano Parente, Libero, 30 giugno 2009