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La santissima trinità dell’ufficio stampa (o dei loro capi)

Oggi ho preso un aperitivo (Milano che avanza) con due amiche mie, uffici stampa di due importanti case editrici italiane. Mi raccontavano delle peripezie varie di questo lavoro, che un po’ ricordo. E una cosa mi preme dire.
Una di loro mi raccontava che il suo editore giudica il buon lavoro dell’ufficio stampa a seconda che si ottenga o meno la solita triade: Repubblica, Corriere e Che tempo che fa. Ai miei tempi era una specie di mantra ossessivo che trovavo riduttivo e limitante. Perché consideravo che il buon lavoro dell’ufficio stampa dipendesse da un’infinità di altre cose. La triade non ha una difficoltà particolare né richiede capacità paranormali. Il non "entrarci" non è il frutto di un cattivo lavoro, ma dipende dalla bontà del libro, dalla struttura della casa editrice, dalla vendibilità di un qualcosa del libro — una prefazione, un’intervista — dall’editore in sé, da una naturale alternanza. Ma è la solita storia: se non entri lì sarà il motivo per cui il libro non ha venduto, anche se magari quel libro ha avuto una ventina di recensioni, francobolli, interviste radio, passaggi televisivi medi. Io ho sempre giudicato e giudico il buon lavoro tutto questo e non la triade. Lì si valuta il lavoro, lì si vede la capacità, la passione. Ma non è, la mia, una pippa mentale. Non c’è niente di più sostanziale. Ed è qui che vengo al punto. Da quando lavoro in libreria mi sarà capitato un’infinità di volte di servire un cliente che aveva scelto il libro sulla base di un francobollo, di una bella recensione di fascia media — un esempio per tutti la fogliata del sabato del Foglio – o ancora perché aveva sentito un’intervista in una qualche radio. Quando presentavo nel piano stampa tutto questo il mio editore (non Castelvecchi, vero ufficio stampa) a stento guardava, perché incombeva la domanda: ma… Repubblica? ma se non lo fa Repubblica il Corriere c’è? Ma riusciamo a mandarlo da Fazio? Tu magari avevi portato quell’autore dalla Bignardi, ti eri fatto un mazzo così per mandarlo a Uno mattina. Il libro non vende perché non è andato da Fazio, è quello il tuo destino.
In libreria funziona la massa. Funziona il lavoro profondo, di marchio. Si giudica il percorso di un ufficio stampa, fatto di costanza. Si giudica chi mette il libro nella rubrica giusta nel giornale giusto. Che sceglie il giornalista adatto. Che eventualmente crea discussioni. Non dimenticherò mai il consiglio di Martina Donati quando le chiesi un consiglio su come approcciare il lavoro con un libro che avevo da promuovere: I Centri sociali di Destra. Mi disse: Vittò, è una bomba, non cercare l’articolo forte, comincia dal basso, e soprattutto comincia con quelli di sinistra. Fai una presentazione forte. Ci occuparono la casa editrice. E uscirono poi gli altri, Triade compresa.
Poi se si ottiene queta benedetta triade, magari si vende di più, ma statene certi, l’ufficio stampa si vanterà di tutto il resto. Che è quello che conta…

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2 Risposte to “”

  1. anonimo Says:

    vittorio dacci notizie. come va nella nuova libreria? impressioni

  2. anonimo Says:

    ma che dolcezza le tue parole.  manco mi hai detto che eri passato in feltrinelli…sentiamoci, perbacco! love m

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