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La morte, ieri 

Una faccia morta non è più una faccia, per niente una faccia, nessuna faccia non è fredda, né di plastica, né di carne, tutta sogno, tutta pensiero, è fin troppo umana e animalesca e umana e perfino espressiva, ma non è più una faccia e mentre una faccia viva puoi stringerla tra le mani, una faccia morta filtra tra le dita, cola, sgocciola, non faccia, una faccia viva reagisce anche nel sonno anche svenuta ma una faccia morta assorbe il tuo sguardo, stira quella ricerca di connessione all’infinito, le familiari operazioni di connessione, addizione, sottrazione, moltiplicazione e divisione non funzionano con le facce morte, così come non funzionano come procedure aritmetiche con infiniti decimali, una faccia morta, come un infinito decimale, non corrisponde a niente nella realtà, una faccia morta è un concetto, e perciò non puoi stringerla tra le mani, e perciò io stringo tra le mani la faccia viva di mia figlia, la sua faccia un tempo viva, quella faccia che amavo e che ho concepito con la mia moglie di allora, come se fosse reale, nella mia mente, ostacolando la comune, persistente, inutile credenza secondo cui i ricordi vengono ogni volta ricostruiti daccapo, coltivati, raccolti, una non faccia la dolce dolce faccia di mia figlia dentro di me è una cosa viva, astratta e reale, che non è mai sparita e che quindi non ha mai avuto bisogno di essere ricostruita e chissà dove c’è una cosa in questo mondo, nel mio mondo, l’unico mondo che è la sua dolce faccia morta, una non faccia, forse un simbolo, un segno, un faro direzionale, un indicatore denotativo o connotativo ma non una faccia. 
[…] Quando è stata rapita, Lane aveva undici anni, una bimba di undici anni, ed era solo di due giorni più grande quando il suo corpicino è stato ritrovato con tutta la vita che aveva dentro ormai scomparsa. Lane era troppo giovane per avere mai riflettuto sulla morte, troppo giovane per conoscere la vita a tal punto da amarla, ma abbastanza adulta per insegnarlo a me, una lezione impartita senza tante fanfare, campane, fronzoli, ma con spontaneità, e quindi in modo del tutto imprevedibile, come quando ti dai un colpetto sulla fronte, per dire: ma certo, ecco cosa ci facciamo qui. Ed è come se fossi andato alla ricerca di una lavagna dove è stato cancellato tutto ciò che conta, gli unici segni rimasti chissà perché indicano quella data.
 
Percival Everett, La cura dell'acqua

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Una Risposta to “”

  1. anonimo Says:

    meraviglioso.

    m.

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