Al limite della notte
Ho molto amato l’opera di Cunningham. Le Ore e Carne e Sangue mi erano sembrati due libri importanti, scritti con grande intensità e raffinatezza. I difetti erano gli stessi di questo ultimo libro, ma erano nascosti da una sincera necessità di raccontare e un labor limae più approfondito.
L’ultimo romanzo, Al limite della notte (Bompiani) prende vita dall’elaborazione di La morte a Venezia di Thomas Mann, altro nume titolare assieme alla Woolf e a Whitman della esperienza di Cunningham lettore, che a sua volta coincide in maniera certosina all’esperienza del Cunningham scrittore.
Ma, questa volta non basta l’amore per il Mago tedesco, che nel libro è definito “nume tutelare degli amori impossibili”.
Cunningham racconta di una crisi di coppia.
Rebecca e Peter sono una coppia newyorkese. Hanno soldi, cultura, charme, una figlia che ha rifiutato tutti i valori familiari. Sono vicini alla mezza età, ma sono belli, come in fondo i ricchi sono sempre.
La tranquillità della loro esistenza è destabilizzata dall’arrivo del fratello di Rebecca, Mizzy, diminutivo di mistake, Erry nella traduzione di Andrea Silvestri diminutivo di Ethan, infatti, l’incipit è: “ L’Errore entrò…”.
L’attrazione che Peter prova per Ethan è totale.
Si perde nei rivoli di una passione estetica che non perde tempo nell’ingarbugliarsi e ingolfarsi in vortici erotici con accenti piuttosto melodrammatici e un po’ kitsch.
Ma, in fondo, il problema del libro non è questo. A parte le prime 20 pagine, la scena della morte del cavallo, in cui ci sembra di avvertire il segno di un rito tribale al centro della modernità, il libro manca di intensità, di pura ossessione. L’autore preferisce infarcire il romanzo di riflessioni banalissime sull’arte contemporanea e la società dei compratori d’arte americani. Racconta per pagine e pagine di ciò che in fondo non interessa neanche a lui, il luccichio della mondanità, per di più con un tono spezzettato e dimezzato che è a metà strada fra il parvenu e il provinciale appena urbanizzato.
Ciò che vuole raccontare Cunningham è il desiderio assoluto di un uomo maturo per un ragazzo, ebbene lo faccia e non abbia alcuna reticenza come note a margine da cronaca rosa o riflessioni estetiche, che non vanno oltre il senso di libertà o di rifiuto dello spettatore dinanzi all’arte contemporanea.
Insomma, chi se ne fotte di Damien Hirst, quando c’è Tadzio o Ethan che ti fanno l’occhiolino!
29 novembre 2010 alle 10:34 |
Si perde nei rivoli di una passione estetica che non perde tempo nell’ingarbugliarsi e ingolfarsi in vortici erotici con accenti piuttosto melodrammatici e un po’ kitsch.
Ma, in fondo, il problema del libro non è questo.
Sicuro? Da come la metti, sembrerebbe proprio questo.
il libro manca di intensità, di pura ossessione.
Corro a comprarlo
Insomma, chi se ne fotte di Damien Hirst
Qui invece siamo d'accordo.
Ipofrigio
30 novembre 2010 alle 18:09 |
che tempra, Ipofrigio.
E.C.