Alberto Burri
Archive for Maggio 2011
30 Maggio 2011
Quell'uomo lì
Sono l'uomo che, in questi dieci anni, assiste ad almeno tre potature vede che c'è un segnale degli alberi che coprono il segnale con le loro fronde, e ogni volta riflette lungamente su quanto poco basti, dopotutto, per rendere ignoto un panorama familiare, e intanto continua a non vedere quel segnale. E sono il padre che buca regolarmente quell'incrocio insieme al figlio, in macchina e qualche volta addirittura anche in Vespa, tenendoselo ben stretto tra le gambe dopo avergli calcato in testa il caschetto non omologato comprato a Porta Portese, convinto di proteggerlo come nessun altro al mondo potrebbe fare. Quell'uomo sono io. Ma sono anche il figlio che non è andato d'accordo con il padre, naturalmente per colpa del padre, e che non si è mai domandato chi fosse veramente il padre.
Sandro Veronesi, La forza del passato
Il rumore della scrittura di Nesi
29 Maggio 2011Chi non è mai entrato in una tessitura che lavora non può capire quanto rumore possa fare. Il rumore di una tessitura è una cosa densa, quasi solida. È un’onda che ti investe, un vento che ti ingobbisce. Il rumore di una tessitura ti fa socchiudere gli occhi e sorridere, come quando si corre mentre nevica. Il rumore di una tessitura ti fa trattenere il respiro, come ai neonati quando gli soffi in faccia. Il rumore di una tessitura è continuo e inumano, fatto di mille suoni metallici sovrapposti, eppure a volte sembra una risata. Il rumore di una tessitura non ha origine e pare venire dalla terra o dall’aria, perché da lontano i telai sembrano immobili. Il rumore di una tessitura tocca e spesso supera i novanta decibel, e confonde e assorda chi non si mette i tappi nelle orecchie, come il canto delle sirene che perse i compagni di Ulisse. Il rumore di una tessitura somiglia al clangore di un esercito immane che avanza verso di te, al ronzio di un gigantesco alveare. A volte, quando è molto lontano, lo si può scambiare col rombare dei temporali. Il rumore della tessitura non si ferma mai, ed è il canto più antico della nostra città, e ai bambini pratesi fa da ninnananna.
Edoardo Nesi, Storia della mia gente, Bompiani
29 Maggio 2011
Il futuro parte dalla conoscenza del passato
[…] l'evoluzione dell'editore come figura distinta dal libraio-editore e al tipografo ha tuttora bisogno di essere studiata sistematicamente. Gli storici hanno cominciato solo di recente a scavare nella corrispondenza e nei documenti delle case editrici, che pure costituiscono la fonte più ricca per la storia dei libri.
Robert Darnton, Il futuro del libro, Adelphi
25 Maggio 2011
Contro l'arte armati
Questa storia del rapporto irrazionale con l’immagine non finirà mai. Non finiremo mai con gli iconoclasti, con i roghi, con l’intolleranza, con la stupidità e con la violenza contro la creazione artistica. Almeno così sembra, a giudicare da quello che è successo il 17 aprile scorso. Verso le 11:30 due visitatori “armati”, uno di un martello e l’altro di un oggetto contundente come una piccozza o un cacciavite, hanno distrutto due opere dell’artista statunitense Andres Serrano, tra cui Immersion Piss Christ, oggetto di moltissime polemiche. Queste due opere facevano parte della mostra intitolata Je crois aux miracles, organizzata per celebrare i dieci anni di attività della Fondation Yvon Lambert, una delle istituzioni più importanti di Avignone per quello che riguarda l’arte contemporanea. Da quando si è saputo, quattro mesi fa, che Immersion Piss Christ avrebbe fatto parte della mostra, un’associazione cattolica integralista, l’Istitut Civitas (il cui scopo è di sviluppare «un’opera di riconquista politica e sociale per ricristianizzare la Francia») ha lanciato una petizione. Ha subissato la fondazione di telefonate ed email e sabato 16, con una manifestazione, ha ottenuto la chiusura temporanea della mostra. Infine si è passati all’atto vandalico, alla distruzione avallata da quella che possiamo considerare la benedizione del vescovo di Avignone, che da tempo aveva chiesto che l’opera fosse ritirata.
Christian Caujolle, “Follia iconoclasta”, «Internazionale» n° 894
25 Maggio 2011
Un’ora qualsiasi
A come Arsura
L’ora più solare per me
quella che più mi prende il corpo
quella che più mi prende la mente
quella che più mi perdona
è quando tu mi parli.
Sciarade infinite,
infiniti enigmi,
una così devastante arsura,
un tremito da far paura
che mi abita il cuore.
Rumore di pelle sul pavimento
come se cadessi sfinita:
da me si diparte la vita
e d’un bianchissimo armento io
pastora senza giudizio
di te amor mio mi prendo il vizio.
Vizio che prende un bambino
vizio che prende l’adolescente
quando l’amore è furente
quando l’amore è divino.
Alda Merini, L’ora più solare per me
25 Maggio 2011
Il giardino verniciato
Vicino all'entrata del giardino c'era un grande rosaio di rose bianche, ma tre giardinieri erano tutti indaffarati a dipingerle di rosso. Alice pensò che la cosa era davvero strana e si avvicinò per osservarli meglio; uno dei giardinieri diceva "Occhio, Cinque, non vedi che mi inzaccheri tutto di vernice?"
"Non è colpa mia," disse il Cinque risentito, "è il Sette che mi ha urtato il gomito." […]
"Vi spiacerebbe dirmi," fece Alice leggermente intimidita, "perché state dipingendo quelle rose?"
Il Cinque e il Sette non dissero niente, ma guardarono il Due. Il Due, a bassa voce, cominciò: "Vede, signorina, il fatto è che questo qui avrebbe dovuto essere un rosaio di rose rosse e noi per errore ne abbiamo piantato uno di rose bianche e, se la Regina venisse a saperlo, sa, ci farebbe tagliare la testa a tutti. Così, come vede, signorina, stiamo facendo del nostro meglio, prima che lei arrivi, per…"
Lewis Carroll, Alice nel paese delle meraviglie, Feltrinelli, traduzione di Aldo Busi
22 Maggio 2011
La trama del cielo
Di che cosa ragiono? più di nulla,
prevedo i temporali,
lascio che l'autunno mi riguardi, resto fuori,
faccio equazioni fino all'alba
tra un'aquila e uno specchio, scommetto
di tramutare
un sasso nel sasso di sempre
sotto gli occhi degli altri,
che ogni cosa sia la cosa stessa se la guardo.
Sento che è poco,
voglio che sia meno.
Sognare un ago immenso che cuce inutilmente il cielo.
Silvia Bre