Diana Athill su Jean Rhys, sulla vecchiaia
Piantare pensando al futuro sarà anche saggio e virtuoso, di certo non dà soddisfazione. Mi ha fatto venire in mente un'espressione che Jean Rhys usava spesso parlando di sbornie: "Ero un po' sbronza, anzi molto". In realtà non ha mai detto "sono un po' triste, anzi molto" parlando della vecchiaia, ma l'avrebbe fatto senz'altro se non l'avesse odiata e temuta tanto da non riuscirne a parlarne.
Jean è stata per me un esempio, mi ha dimostrato come evitare il pensiero della vecchiaia. La sola idea la colmava di rancore e disperazione. A volte annunciava l'ardito proposito di tingersi i bei capelli grigi di rosso acceso, eppure non l'ha mai fatto: non tanto, credo, perché il buonsenso le diceva che il risultato sarebbe stato grottesco, quanto perché non aveva la forza di organizzare il tutto. In altre occasioni — piuttosto rare — bere la faceva sentire meglio, ma il più delle volte la rendeva querula e capricciosa. Si aspettava che la vecchiaia la deprimesse e così fu, ma poi, quando ormai c'era dentro, dava sfogo a quella depressione lamentandosi di altre cose, perlopiù inezie, perché la vecchiaia in sé era una questione troppo grande da affrontare — benché in effetti una volta disse che riusciva a tenere a bada il panico solo grazie al suo kit da suicidio. Si affidava da anni ai sonniferi e ne aveva messa da parte una notevole scorta nel cassetto del comodino, da usare il giorno in cui le cose si fossero messe male. In effetti le cose si misero male, ma dopo la sua morte controllai il cassetto e vidi che la scorta era ancora intatta.
Diana Athill, Da qualche parte verso la fine, Bur