Archive for novembre 2011
29 novembre 2011
Nella colonia di narcisi-rose
Mi svegliai all'alba, intirizzito. Il cielo era cupo. Dovevamo andare nel palazzo del Raisouni a vedere dei vecchi tavoli dipinti. Mi aspettava una giornata faticosa. Traversammo la spianata fino al portale. Come tutte le volte, pensai che solo ottant'anni prima questa soglia era adorna di teste dei soldati spagnoli infilzate su picche, coi genitali strappati che spuntavano dalle bocche. Il giardino è coltivato a fave e bietole, traversato da sentieri che corrono tra cespugli di Rosa gallica; un muro lo separa da un vasto campo incolto, in cui crescono un paio di olivi, dei melograni e dei fichi. Sussultai — la chiazza chiara laggiù, a una sessantina di metri, erano… Narcisi? — ma c'era qualcosa di allarmante. Avanzai. Non mi ero sbagliato. Il cuore di quelle corolle (biancastre! non candide come quelle del Narcissus papyraceus) era giallo. Ma cos'era l'inquietudine che si insinuava nel mio entusiasmo? […]
In pochi balzi li raggiunsi (scoppiavo di gioia): una dozzina di ciuffi, foglie scure leggermente innevate di verde più chiaro. Erano così doppi, così pesanti… la pioggia recente aveva inclinato quasi tutti gli steli. Ma…?! mi chinai, pensando di avere un'allucinazione. Mi trovavo in mezzo a una piccola colonia di Narcissus telamonius plenus, un ibrido ottenuto in Inghilterra nel primi decenni del Seicento, e avidamente collezionato da grandi botanici barocchi come Sir John Tradescant che lo chiamava "Rosa narciso". Avevo le vertigini. La corolla esterna, bianco-giallina, si affacciava su una moltitudine di petali arruffati che andavano dallo zolfo al becco d'anatra: davvero, più che a Narcisi, somigliavano a Rose baksiae. E il profumo era esotico, speziato — te li saresti immaginati accanto a noci e susini, in un centrotavola di ceramiche di Delft bianche e azzurre, tra candelieri di ottone, boccali di peltro e complicate saliere rinascimentali di maiolica color burro. Guardai il cielo carico di nubi, mi guardai attorno. Mi sentivo la vittima di una beffa organizzata da un dio antico e sornione. Com'era possibile che i semi di questo bastardo magnifico fossero arrivati qui, su queste montagne, portandovi l'atmosfera di una civiltà così remota nello spazio e nel tempo? E perché mi toccavano il cuore, che batte solo per i fiori semplici?
Umberto Pasti, "Un narciso e un bandito", Più felice del mondo, Bompiani
28 novembre 2011
Si sono dimenticati di noi. Tutto quello che sappiamo è inutile. Ma quando ripenso a quei giorni sulla strada, a quello che ho fatto e a quello che mi hanno fatto, è difficile che io provi amarezza. Si sono dimenticati di noi come ci si dimentica dei vecchi elenchi del telefono, degli almanacchi, delle lampade a gas e di quelle grandi case gialle con i cornicioni e le cupole che si costruivano una volta. Questo è tutto.
John Cheever, Fall River, da Tredici racconti, Fandango
23 novembre 2011
Le domande che non sappiamo più fare
A come Armata
Prese la mano di Alice, e disse: «Qual e la risposta?». Ma Alice piangeva, e si limitò a scrollare la testa. Gertrude scoppiò in una delle sue risate di cuore. «E allora, qual è la domanda?».
La portarono via sulla barella. Alice seguì la sua amante, camminandole accanto come se non avesse fatto altro per tutta la vita.
Gertrude non tornò più.
La domanda è: come amiamo?
È una domanda personale, da fare a quattr’occhi, intensa, privata, spaventosa, necessaria. È anche una domanda per il mondo, rabbiosa, respingente, esigente, difficile. L’amore non è sentimentale. L’amore non è la seconda scelta. Le donne dovranno alzare le braccia armate in difesa dell’amore. Prendimi tra le tue braccia. Non abbiamo altro luogo che questo?
Jeanette Winterson, “Tutto quello che so di Gertrude Stein” in Sesso, l’ultimo numero di Granta in uscita il 23 novembre per Rizzoli
17 novembre 2011
Come è vero
Ho un quadernetto per scrivere sciocchezze e no, regalato da Angelo. Forse per superare la paura che mi farà il ritorno là dove non vorrei (e vorrei) tornare: Mozart o la musica del dubbio, in questa Roma di Ferragosto appiccicosa di certezze mielate.
A Ferragosto a Roma tutti i pazzi si fanno vivi.
L'odore del verde dopo la pioggia a Ferragosto è amaro come la seta del papavero stropicciata fra le dita.
Goliarda Sapienza, Il vizio di parlare a me stessa, Einaudi
15 novembre 2011
La felicità
Alcuni partirono per cercare lavoro, soprattutto quando la guerra terminò e non ci fu più bisogno di soldati. La maggior parte raggiungeva la capitale o andava a sgobbare nei cantieri delle autostrade in costruzione lungo la costa, o sulle montagne, nella sierra. C'era sempre posto nell'industria del contrabbando lungo il confine orientale, e la pesca su a nord offriva lavoro a chiunque fosse disposto a darsi da fare sette giorni su sette. Si diceva che alcuni fossero arrivati alle spiagge, inseguendo sogni di donne straniere, e si mantenessero vendendo chincaglieria ai turisti. Così si diceva, ma nessuno lo sapeva per certo. Non c'era alcun risentimento nei confronti degli scomparsi, solo tristezza per essere stati lasciati indietro. Coloro che restavano riponevano le proprie speranze nella radio. Avevano consegnato lettere destinate ai propri cari a viaggiatori di passaggio: ma senza risultato. Per questo attendevano che giungesse la domenica sera. E quella successiva. E quella dopo ancora. Furono serate così che insegnarono a Victor quanto ricordare fosse pericoloso. Sua madre, immaginava lui, ascoltava la trasmissione per ricevere notizie di quel fantasma, suo padre. Victor pregava: spero che mi dimentichi quando toccherà a me. Un giorno anche lui sarebbe andato in città; lo aveva sempre saputo, fin da piccolo. La felicità, aveva deciso, doveva essere una specie di amnesia.
Daniel Alarcón, Radio città perduta, Einaudi
13 novembre 2011
Il giardino di Diana Athill
Da bambini adoravamo le rose, aspettavamo con trepidazione i primi bucaneve, accarezzavamo il velluto dei petali di viola, avevamo altri fiori tra i nostri preferiti, ma il giardino non era semplicemente un posto da guardare. Lo abitavamo: ci arrampicavamo sugli alberi, ci nascondevamo nei cespugli, pescavamo girini e tritoni dal ruscello, rubavamo le pesche e i grappoli d'uva (il che era peccato e dunque più entusiasmante che mangiare prugne e mele dai rami, cosa che invece era permessa). E ci venivano assegnati regolarmente dei compiti, come per esempio raccogliere per la nonna il pisello odoroso o le fragole e i lamponi che dovevano essere messi in tavola quel giorno. Verso la fine della stagione, quei compiti diventavano un po' noiosi, ma mai sgradevoli e, poiché essi implicavano sapori e odori meravigliosi e la piacevole sensazione delle foglie sulla pelle, il giardino veniva naturalmente accettato come fonte di piacere per i sensi nonché luogo pieno di bellezza.
Diana Athill, Da qualche parte verso la fine, Bur
10 novembre 2011
Regole per un matrimonio perfetto
A come Attenersi
Hanno imparato a stare in silenzio fin dal primo incontro e da allora non hanno più avuto alcun problema. Se vanno a cena fuori si siedono dove dice il cameriere, senza perdere tempo a commentare sulla posizione del tavolo e la magnificenza della vista. Hanno imparato l’arte del silenzio fin dal primo incontro. Guardando il menu si attengono all’essenziale, in questo si distinguono dalle altre coppie, non si sentono in dovere di intavolare discorsi sulla lombata di vitello ai tre pepi su letto di purè di mela in salsa di arancia al Cointreau, né sui bocconcini di maiale in crosta deliziosa con scaglie di mandorla, non si discostano mai dall’essenziale, dicono vitello, dicono maiale, direbbero lo stesso se sul menu ci fosse scritto vitello ammazzato con coltellaccio a punta dopo elettroshock e sospensione di una zampa in modo da evitare il contatto con il suolo, maiale nato e cresciuto senza mai aver visto un raggio di sole e barbaramente trasportato al macello in un camion, si attengono all’essenziale, vitello, maiale, sanno quanto siano ingannevoli i dettagli e non se ne curano.
Il loro matrimonio ha trovato nel silenzio il migliore alleato. Di rado commentano qualcosa e non indovinano, né gli interessano, i pensieri dell’altro. In qualsiasi rapporto, la conoscenza è una stramberia e la comprensione una stravaganza ancor peggiore. Dopo aver finito di mangiare, a nessuno dei due piace guardare il cibo avanzato nel piatto, provano una sorta di nausea difficile da spiegare. Si assomigliano molto in questi particolari, gli unici davvero importanti per la durata di un matrimonio. Quando escono dal ristorante c’è sempre un autista ad aspettarli. Si accomodano sul sedile posteriore, si guardano attorno a velocità sicura e temperatura costante, non parlano mai, nemmeno se la loro attenzione viene attratta da un palazzo in costruzione, o in rovina, il loro matrimonio si basa su varie regole ma la più importante è saper restare in silenzio. La regola immediatamente successiva quanto a importanza è che le confidenze distruggono i matrimoni, o detta altrimenti: i segreti sono l’ossatura di un matrimonio.
Dulce Maria Cardoso, Il compleanno, Voland