Torino, 29 luglio 1949
Caro Calvino,
non mi dispiace che Tra donne sole non ti piaccia. Le ragioni che ne dài sono la trascrizione fiabesca di un tema letterario; un abbozzo di novella di Italo Calvino. Cavallinità e peni di faggio sono pura e bella invenzione (tutte le mitologie s’incontrano: il faggio è l’albero del Monte Pelion, il monte dei centauri).
Applichi due schemi, come due occhiali, al libro e ne cavi impressioni discordanti che non ti curi di comporre. C’è la definizione di Talino e Momima come fratelli, la scoperta che faccio sempre un viaggio all’altro mondo, che per me bestiale e decadente s’identificano […]; poi applichi lo schema realistico evocatorio (Proust, Radiguet, Fitzgerald) dell’insussistenza di questo mondo scoperto. Evidentemente questo mondo è un’esperienza dei vari io […] e questi io sono la vera serietà (non fiaba) del racconto. Ma tu — scoiattolo della penna — calcifichi l’organismo scomponendolo in fiaba e in tranche de vie. Vergogna.
Mi ha comunque molto consolato la scoperta del filone unitario tra le varie opere.
Godo dei successi cannibalici. Figúrati se vengo a San Remo. Fossi matto.
Pavese
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