Gray non si aspettava di incontrare l’ex marito; non si aspettava neppure di non incontrarlo. John Volstead – il futuro morto – aveva rinunciato al mondo. Ormai si accontentava di mettere in ordine i suoi libri. Ogni tanto, quando l’occasione gli veniva servita su un piatto d’argento, rifilava all’interlocutore una o due fandonie, ormai l’espressione privilegiata, se non esclusiva, del suo talento. Quindici anni prima aveva conosciuto un successo clamoroso con un romanzo intitolato I narcisisti anonimi. Da allora non aveva più pubblicato una riga. Sosteneva di lavorare a un libro, una sorta di Grande opera: gli altri, ovviamente, erano tenuti a reggergli il gioco per pura cortesia.
In realtà non scriveva. (Non fa niente dalla mattina alla sera, disse Anna). Eppure, benché non scrivesse più da mesi, se non da anni, il suo status di autore non lo abbandonava; la sua aura non faceva che scemare, senza però scomparire del tutto – era se midimenticato, semiromanziere; e nel suo caso, quest’ultimo termine sembrava avere la semivita del plutonio. Tutti quanti (le persone che lo circondavano; lui per primo) si sarebbero sentiti sollevati nel vederlo intraprendere un’altra carriera. Ma John Volstead sembrava condannato a essere uno scrittore, pur senza scrivere.
Jakuta Alikavazovic, La bionda e il bunker, 66thand2nd