A Pax piaceva la metropolitana di quella città. Gli piacevano i suoi echi, il suo calore, le zaffate di marcio, la sua congrega di musicisti, sbandati e turisti, il modo in cui il suo tanfo che sa di uovo ti entra in bocca, entra in bocca a tutti. La forza democratizzante della metropolitana, la sua ineluttabile evocazione della morte che verrà per tutti noi, in qualche modo era rassicurante. Piastrella che trasuda. Cemento vischioso. Ratti enormi e tremanti con le code che sembrano l’antenna di una macchina. Pax restava sottoterra per giorni e giorni. Viaggiava. Camminava. Osservava. Gli piaceva aspettare sui marciapiedi, bloccato nella ressa, gli piaceva quel respirare e sudare collettivo, le facce che le persone facevano quando la folla le schiacciava – o meglio, gli piacevano le facce che le persone cercavano di nascondere, gli occhi distolti, le labbra strette, gli piaceva quando una faccia tradiva il suo proprietario. C’era una faccia che vedeva dappertutto. Quella di una ragazzina.
Sarah Braunstein, Il dolce sollievo della scomparsa, 66thand2nd