Difficoltà nell’editing di un autore di cui ha letto solo un racconto e di cui non hai letto altro?
Duplice: il fatto di non aver letto altro e il fatto che sia un racconto. Per giunta in una forma molto breve. C’è il rischio di rimanere estranei alla “poetica”, se ve ne è una. C’è il rischio di fraintendimento. C’è il rischio di non comprendere uno stile di scrittura e sentire il bisogno di intervenire dove invece l’autore ha utilizzato certe soluzioni del tutto intenzionalmente. Ma si può anche essere fortunati: entrare in quel rapido affresco, intuirne le potenzialità, apprezzarne la lingua o la capacità di costruire una breve storia, o l’idea. O tutto, nel complesso.
Che tipo di scambio c’è stato con l’autore di 8×8 che ha editato e con il suo racconto? Si instaura un rapporto personale, anche minimo? Si dialoga, esiste il famoso rapporto tra editor e scrittore?
Per me non esiste editing che non sia un rapporto tra editor e scrittore. Sia che si tratti di un romanzo, di un racconto lungo o breve. La modalità del mio editing non varia: il primo è cartaceo. L’autore riceve le sue pagine coi miei scarabocchi, perplessità, consigli, indicazioni, punti poco chiari, commenti. Tutto nero su bianco. Non amo gli strumenti di revisione. Poi me lo rimanda, evidenziando tutto ciò su cui è intervenuto (in genere non sono direttiva, preferisco che il primo tentativo di cambiamento sia fatto dall’autore. Io indico dove e perché secondo me è necessario). A questo punto rileggo e vedo se fila o se c’è qualcosa che ancora stride nella lettura. In genere, nell’editing di 8×8, una volta fatto l’editing ed elaborata una mia idea sul testo, chiedo all’autore cosa lo ha portato a scrivere quel racconto in quel modo. Per vedere se l’idea che mi sono fatta coincida con la sua intenzione o meno. In un racconto come questo, per esempio, dove il realismo non è il fattore principale, questo genere di scambio è importante. Non credo sia necessario che la mia idea e la sua intenzione coincidano perfettamente. Certo, se c’è una completa divergenza allora qualcosa di strano nel racconto c’è…
Sul racconto di Gian Marco ci sono stati tre editing. Il primo per rifinire stile e ritmo. Siamo interventi sull’uso degli aggettivi, sulla variazione o insistenza su alcuni verbi. Sull’interpunzione. Per dare al racconto un tono ancora più secco.
Nel secondo, ancora sulla lingua, poi su alcuni particolari sfuggiti a una prima lettura e su un aspetto che con Gian Marco ho definito “emotivo”. Volevo che lui desse più spessore ai suoi tre personaggi con interventi anche minimi, ma mirati e che ovviamente doveva decidere lui – in modo tale che il lettore, al di là dello stile del racconto e della sua struttura – potesse sentirsi più complice verso i tre e vivere l’affondare insieme a loro. Lo scambio è stato buono, credo. Almeno, io ho lavorato bene al racconto e da quel che dice, pare che l’esperienza lo abbia molto soddisfatto!
Punti di forza e debolezze del racconto editato?
Da subito ho pensato che ci fosse una certa consapevolezza linguistica (stilistica se si vuole, ma io ho pensato proprio: questo la lingua italiana la conosce – cosa non sempre scontata!) e una padronanza della struttura del racconto. Nel complesso, mi sembrava di scorgere un certo rigore nel racconto. Quel su cui c’è da lavorare, forse ancora, per renderlo un lavoro migliore (ma non credo che l’intento dell’editor in questo caso debba mirare a stravolgere ciò che è stato già letto), è lo spessore dei personaggi – padre e madre soprattutto – perché la loro caratterizzazione e con essa il senso e l’evento del racconto, risultino ancora più forti.
Editing su un esordiente, editing su un autore non esordiente. Ci sono differenze nell’editing e nelle fasi di lavorazione del testo? Gli esordienti sono più malleabili rispetto ai non esordienti? O più rigidi all’idea che qualcuno intervenga sul testo?
Mi è capitato di lavorare più spesso con esordienti e arrivare a curare fino al loro terzo libro. Non so se si tratti di fortuna o altro, ma il metodo ha sempre funzionato e dall’altra parte ho sempre trovato persone disposte ad accettare consigli e critiche (non lesino complimenti quando servono!). Con gli esordienti – con alcuni più di altri – è bello vedere l’evoluzione da un romanzo all’altro. Quanto di quello che hai detto o fatto notare loro sia stato interiorizzato e reso proprio. Tocchi con mano la qualità del lavoro compiuto insieme. Mi è capitato di lavorare anche con autori che avevano già pubblicato per altre case editrici. Anche con loro è andata sempre bene. Ricordo che un autore mi disse, all’inizio: i miei romanzi non vengono quasi toccati. “Ops”, pensai… E alla fine, invece, mi lasciò “toccare” il suo romanzo e capì che lavorare insieme era stato d’aiuto al testo. Questo è importante: un autore si affida se si rende conto subito che stai lavorando per lui, per il suo romanzo, perché sia migliore e che lo fai con passione e soprattutto senza mai essere direttivo o impositivo. Ma cercando sempre uno scambio. L’editing è questo. Scambio, essenzialmente. Per questo – non finirò mai di ripeterlo – questo lavoro è speciale.
Cosa si perdona all’autore? Cosa non si perdona?
Sarò breve. Si perdonano ingenuità. Fanno parte del mestiere, si possono superare, affinando tecnica e stile. Non si perdona (dentro di sé, certo) l’insistenza con cui difendono certe scelte narrative o stilistiche facendo appello allo sperimentalismo, al “parlato”, al “mi piace” al “lo ho provato e lo hanno provato tante persone che conosco”. Un romanzo non è fantasia. Lo è, certo, ma è anche rigore. Rispetto della grammatica, della sintassi, delle strutture, dei tempi giusti, dell’evoluzione dei personaggi. Troppo spesso si confonde l’errore grossolano con lo stile “personale”. Ecco, questo lo sopporto poco in un autore… ma per fortuna in genere ho occasione di lavorare con persone umili. Desiderose di imparare.
Lo scrittore più imitato, del passato o attuale. Gli scrittori che fanno più eco nei testi che si è trovato a editare? Il racconto che ha editato cosa le riporta alla mente? Oggi nel racconto c’è ancora un richiamo al racconto d’autore o l’influenza cinematografica, visuale, visiva e istantanea dilaga?
Per quanto riguarda i racconti, senz’altro Carver. Per i romanzi, non saprei davvero dire: sono troppi quelli che ho editato! Ho lavorato con autori che si ispiravano a Lansdale. Con altri che – pur non essendone consapevoli – venivano associati a King nello stile. Echi di autori famosi si trovano, ma non credo di aver mai trovato uno stile che mi richiamasse alla mente un autore, precisamente. Ammetto di non trovarmi spessissimo a che fare (almeno per lavoro), con i racconti. Ma da quel che leggo, per mio piacere o per questioni non strettamente legate alla casa editrice per la quale lavoro (incontri del genere di 8×8), mi sembra che ci sia una duplice tendenza: imitativa di un certo stile, riconoscibile e affermato, con la conseguenza del puro esercizio e dell’inutilità del racconto. Oppure la trascrizione di un evento del tutto personale che, sia nello stile che nella sostanza, non riesce a rendersi materia universale, ad affrancarsi dal vissuto del singolo. Sto parlando naturalmente di esordi che leggo, non di altro. In genere credo sia molto difficile trovare un racconto davvero buono.
La scrittura italiana, vizi di forma e filoni di genere. Cosa può dare oggi il racconto alla letteratura?
Anche qui sarò breve. Può darle ciò che spesso il romanzo – sottoposto come è alle vincolanti leggi dell’industria editoriale – non le dà (quasi) più. Originalità, libertà, spazio per la creazione meno condizionata dal pubblico, dagli editori e dalle vendite. Certo, il contraltare di tutto ciò è che in Italia è sempre più difficile pubblicare racconti, a meno che non siano di scrittori già affermati o traduzioni.