Nonostante quasi due anni di cure condotte con diligenza stamattina è arrivato il momento che aspettavo con un certo timore: la mano ha cominciato a tremare. Me ne sono accorto appena sveglio quando, prendendo i biscotti dalla credenza, ho visto la mano destra irrigidirsi e vibrare. Il pacco oscillava tra il vuoto e il ripiano, cinque, sei battiti al secondo. L’ho rimesso dov’era e ho abbassato il braccio, nella speranza che sarebbe bastato ripetere daccapo la sequenza dei gesti. Terminata la colazione ho messo i biscotti al loro posto, ma in uno scaffale che con tutta probabilità domani non riuscirò più a raggiungere.
In gergo questo movimento si chiama «contare le monete»: una mano che trema come se stesse gettando le fiches sul banco di un tavolo da gioco, l’altra che cerca di fermarla. È il marchio del Parkinson e anche la sua presa in giro perché capita solo quando sei sveglio, quando puoi sapere di essere malato e quando gli altri possono vedere quello che vedi tu.
Avevo la mattinata libera e allora sono uscito a prendere un po’ d’aria. Sentivo il baricentro del mio corpo scivolare, inadatto, sulle folate di vento che sbucavano all’improvviso tra un palazzo e l’altro. Nonostante ciò c’era il sole e ai giardini Luxembourg la gente era impegnata a passeggiare, correre o guardare i monumenti, mentre alberi e animali ripartivano daccapo a ritmo della primavera.
Dopo qualche passo in direzione della fontana dei Medici ho incontrato Loris. Non lo vedevo da quando avevo occupato la sua scrivania. L’ho visto io per primo, lui era impegnato ad allacciare la scarpa a un bambino che poteva avere quattro o cinque anni. Appena mi ha riconosciuto ha sorriso, poi, a mano a mano che i nostri corpi si avvicinavano, ho visto il suo sguardo abbassarsi lentamente per poi ritornare su i miei occhi, più mite, colpito, compassionevole.
Raffaele Riba, Un giorno per disfare, 66thand2nd