Lei beveva demon rum, e mi aveva anche insegnato a prepararlo, quando eravamo piccoli; mi aveva insegnato a bere. Rubavamo bottiglie di liquori, oppure ce le facevamo procurare da appostiti intermediari provvisti di età valida per l’acquisto di alcoolici. Poi io passai al bourbon. Mio fratello beveva birra. Mio padre beveva whisky di malto. Mia nonna beveva a garganella e poi stava male. Mio nonno beveva costosissimi nettari da collezione. L’ex marito di mia sorella beveva surrogati decisamente più abbordabili. Mio fratello bevve fino a quando una donna riuscì a trascinarlo dalla casa di mia madre. Io bevvi fino a quando scoprii che avevo il terrore di metter piede fuori di casa. Mio zio bevve fino al suo ultimo anno di vita. E io una volta portai fuori da un bar mia sorella ubriaca fradicia, che canticchiava tra sé e sé e mi guardava con occhi vitrei, praticamente in coma. La portammo fuori dal bar tenendola io per le braccia e Peter Hunter per le gambe; dormì fino alla sera dell’indomani. Il giorno di Halloween mia sorella si era fatta un gin and tonic prima di uscire con i figli, prima di portarli in giro per le villette di Kensington Court, peregrinando di villetta in villetta fino a quando la coda da squalo di mio nipote divenne completamente verde per lo stracinamento nei vari praticelli appena falciati. A quel punto mia sorella caricò i figli in macchina e li portò dall’altra parte della città, a casa dell’ex marito, affidandoli alla supervisione dell’ex marito, che li portò a passeggio lungo un ruscello e sotto le stelle.
Rick Moody, Demonology, Bompiani, traduzione di Sergio Claudio Perroni