Solo una volta un consiglio generico da parte di uno scrittore mi è stato molto utile. Si tratta di Colette. Scrivevo racconti per Le Matin, e Colette era caporedattrice della sezione letteraria all’epoca. Le sottoposi due racconti e li rifiutò entrambi e io continuai a provare, ancora e ancora. Alla fine mi disse, Senti, sono troppo letterari, sono sempre troppo letterari. Seguii il suo consiglio. È quello che faccio quando scrivo, la cosa principale quando scrivo.
Cosa intende con “troppo letterario”? E cosa elimina, un certo tipo di parole?
Aggettivi, verbi, e ogni parola che è lì sono per fare effetto. Ogni frase è lì solo per la frase. Hai ottenuto una frase meravigliosa — tagliala. Ogni volta che trovo una cosa del genere in uno dei miei romanzi la devo eliminare.
È a questo tipo di revisione che si sottopone in gran parte?
Quasi completamente.
Non si mette a rivedere la trama?
Oh, io non tocco mai niente in questo senso. Mi è capitato di modificare i nomi mentre scrivevo: una donna dovrebbe chiamarsi Helen nel primo capitolo e Charlotte nel secondo, per esempio; e nella fase di revisione sistemo queste cose. E poi taglio, taglio, taglio.
C’è qualcos’altro che vorrebbe dire a uno scrittore esordiente?
Scrivere è considerata una professione, ma io non la ritengo tale. Io penso che chi non sente di dover essere uno scrittore, chi pensa di poter fare qualcos’altro, allora dovrebbe fare qualcos’altro. Scrivere non è una professione ma una vocazione all’infelicità. Non credo che un artista possa mai essere felice.
Georges Simenon, intervista su The Paris Review, 1955
Rispondi