Potresti pensare che ormai mi sia abituato a questo. Alla mancanza di sole. Ma a Berlino l’inverno non è tanto una stagione quanto un’era geologica. Otto mesi di cieli compatti grigio-coperta da detenuti che, mescolati alla fumosa vita notturna e alla solennità da scarpe gommate dei passi berlinesi, conferiscono alla città un’atmosfera intrigante da matinée cinematografica in bianco e nero. Se non facesse così freddo mi sembrerebbe quasi di interpretare un cameo in un vecchio melodramma hollywoodiano. Per spezzare la plumbea monocromia dei mesi tra settembre e aprile mi sorprendo a colorizzare gli oggetti. Gli occhi di Ingrid Bergman, l’idioma della prostituta polacca, la spruzzata di pasticcini sullo Schoko-Taler nella vetrina della Bäckerei, le macchie di cielo limpido in un pomeriggio da parzialmente a molto nuvoloso, sono tutti avvolti in un falso ricordo di sfumature azzurrine. Un azzurro che non esiste in natura, ma si trova solo nella mia mente e nel vibrato della chitarra di Kokomo.
Paul Beatty, Slumberland, Fazi, traduzione di Silvia Castoldi
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