1. Guidare verso ovest al tramonto in estate: accecato dal sole, non riesci a vedere le macchine davanti a te; i brutti depositi e le autofficine sono di un arancio fiammante. Quando il sole tramonta, tutto acquista profondità: le facciate di mattoni si velano di blu; ci sono sbavature di tenebra al carboncino lungo l’orizzonte. Il cielo e la città sembrano infiniti. Ovest è ovunque tu volga lo sguardo.
2. Il modo in cui d’inverno le persone si stringonosotto le tiepidi luci alla fermata di Granville sulla Elle, molto simili a giovani polli sotto una lampadina. È un’immagine di solidarietà umana imposta dalla crudeltà della natura, la storia di Chicago e della civiltà.
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7. Guardare dritto a ovest la sera da qualunque grattacielo di Edgewater o Rogers Park: gli aerei sospesi e luccicanti sopra O’Hare. Una volta, con mia madre in visita, abbiamo trascorso un’intera serata seduti al buio, ad ascoltare Frank Sinatra, guardando gli aerei che somigliavano a lucciole stordite, trafitti dalla costante meraviglia che è questo mondo.
8. La felice scarsità di personaggi celebri a Chicago, perlopiù atleti falliti e strapagati. Oprah, una di Friends, e molti altri di cui non ho mai saputo il nome o mi sfugge in questo momento si sono trasferiti a New York o a Hollywood o in clinica, dove possono sfoggiare la finta insegna delle loro umili origini chicaghesi, mentre noi possiamo rivendicarli senza essere realmente responsabili della vacuità delle loro vite da prima pagina.
9. I parrocchetti di Hyde Park, miracolosi superstiti degli inverni più rigidi, un colorato esempio di vita che rifiuta fermamente di morire, con quell’istinto che ha reso Chicago dura e grande. In realtà io non ne ho mai visti: la possibilità che siano un’invenzione rende l’intera faccenda ancora più gustosa.
10. Lo skyline del centro di notte visto dall’Adler Planetarium: finestre illuminate nella cornice di palazzi bui contro un cielo ancora più buio. Sembra che le stelle siano state distribuite e incollate allo spesso muro della notte chicaghese; una fredda, inumana bellezza che contiene l’immensità della vita, ogni finestra una possibile storia, dentro la quale un immigrato si sobbarca un turno serale a pulire lo sporco d’impresa.
11. Il colore grigioverde del lago leggermente spumoso quando i venti soffiano da nordovest e il cielo è intirizzito.
12. Le giornate estive, lunghe e umide, quando le strade sembrano lucide di sudore; quando l’aria è densa e calda come un tè col miele; quando le spiagge sono affollate di famiglie: padri addetti al barbecue, madri che prendono il sole, figli che sfiorano l’ipotermia nelle secche del lago. Poi un’onda di aria gelida spazza i parchi, una pioggia torrenziale infradidcia qualsiasi creatura vivente, e qualcuno, da qualche parte, rimane senza corrente. (Mai fidarsi di una giornata estiva a Chicago).
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16. Le famiglie pachistane e indiane che passeggiano solenni su e giù per Devon Street nelle sere d’estate; le attempate coppie di ebrei russi riunite sulle panchine a Uptown, che gorgheggiano pettegolezzi nelle loro morbide consonanti sopra gli strepiti di obsolete radio a transistor; le famiglie messicane di Pilsen che affollano il Nuevo Leon per la colazione domenicale; le famiglie afroamericane maestosamente vestite per la messa in attesa di un tavolo al Dixie Kitchen di Hyde Park; i rifugiati somali che giocano a calcio in sandali sul campo sportivo del Senn High School; le giovani madri di Bucktown coi materassini da yoga in spalla come fossero bazooka;l’enorme quantità di vita quotidiana di questa città, molta della quale merita da sola un racconto o due.
17. Un fiume di rosso e un fiume di bianco che scorrono in direzioni opposte lungo la Lake Shore Drive, come si vedono da Montrose Harbor la notte.
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19. Le sontuose dimore di Beverly; le desolate case a schiera di Pullman; i freddi edifici del canalone di La Sale Street; la garrula bellezza dei vecchi alberghi del centro; l’austera arroganza della Sears Tower e dell’Hancock Center; le pittoresche case di Edgewater; la tristezza del West Side; lo splendore decrepito dei teatri e degli alberghi di Uptown; i depositi e le autofficine del Northwest Side; le migliaia di lotti vuoti e di edifici scomparsi cui nessuno presta attenzione e che nessuno ricorderà. Ogni edificio racconta un pezzo della storia della città. Solo la città conosce tutta la storia.
20. Se a Studs Terkel Chicago è bastata per passarci un’intera vita, allora va più che bene anche per me.
Aleksandar Hemon, Il libro delle mie vite, Einaudi, traduzione di Maurizia Balmelli
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