
Una separazione consensuale non gli impediva di dare l’indirizzo di Angelica come fosse il suo. La separazione in sé non arrecò grossi disturbi, se non qualche saltuario corpo a corpo riguardo la divisione degli oggetti domestici. Una volta Angelica si presentò nel bel mezzo di una cena che Victor aveva organizzato a casa sua e portò via la mobilia della sala da pranzo. Gli ospiti erano ancora all’aperitivo, nel brutto e freddo salone sull’altro lato dell’ingresso. Finsero di non vedere […] — tutti tranne Lily, che strinse il suo bicchiere di Campari con entrambe le mani e rimase immobile sulla soglia a guardare.
Era la prima volta che vedevamo Angelica. Dentro una valigetta di coccodrillo portava un’ingiunzione di un tribunale italiano, firmata da un suo parente, e sei copie di un permesso per trasportare tutto quanto oltre frontiera, senza dover pagare dazi doganali. Arrivò con un furgone, che fece parcheggiare all’autista proprio davanti alla porta d’ingresso, come in una retata della polizia. Lily passò in rassegna con lo sguardo il suo abito rosso, ben stretto da una cintura, il cappello di paglia rossa e lucida, lo smalto per unghie dello stesso identico colore del cappello. I capelli, giallo nasturzio, erano più lunghi di quelli di Lily. Trascinò una scaletta fuori dalla cucina, si tolse con un calcio i delicati sandali rossi, salì a piedi nudi. (Il tavolo era già stato spostato, il tappeto arrotolato e caricato sul furgone.)
Angelica esaminò il lampadario a bracci, per vedere se fosse possibile tirarlo giù, mentre Victor, ai piedi della scaletta, osservava con placida disapprovazione le gambe nude della moglie. “È indecoroso, Angelica” disse. Lei rispose con l’equivalente di “cos’è il decoro?” ma in una lingua più violenta e personale, e cominciò a svitare le lampadine. (Lily mi fece ricordare, in seguito, che Victor non aveva mai smesso di grattarsi la nuca.) Alla fine si arrese, la lasciò lì, e portò la sua compagnia di sette persone al ristorante, dove pagò con un assegno che avrebbe potuto anche essere a vuoto: lo sventolò con un gesto teatrale per asciugare l’inchiostro della firma e suggerì al cameriere di farlo incorniciare.
Mavis Gallant, “Meglio lasciar correre”, Varietà di esilio, Bur, traduzione di Giovanna Scocchera