Come mai mamma non tornava? Come mai non ci dava sue notizie? A volte ripensavo alla madre di Vern e alla sua stanza del cucito. Jolene, un tempo, era una madre che creava fantasie a partire da pezzetti di stoffa colorati e si chinava sulla sua macchina da cucire per realizzare trapunte per le persone care. Chi era diventata adesso? La compagna di uno stronzo che sembrava quasi odiare. Forse nostra madre era diventata una persona diversa, conosciuta da tutti solo come Irene, una bella donna rossa di capelli, con le cosce muscolose e le mani forti.
Beatrice era proprio irrecuperabile: non scaraventava più gli occhiali per la stanza in preda alla frustrazione – la morte di Ted l’aveva liberata, sembrava quasi felice –, ma non faceva che friggere salsicce e bollire patate, controllare la posta, astenersi dai commenti – rumorosamente. Ora che i commenti erano diventati necessari, lei si asteneva. La biasimavo perché non faceva nulla per trovare nostra madre. La odiavo per il suo silenzio. Sapevo che provava imbarazzo per noi. La odiavo per questo. Attorno a noi si accumulava un silenzio impenetrabile sulla cosa più importante di tutte.
A volte mi veniva voglia di avvicinare qualcuno a caso per strada e chiedergli: «Dov’è mia madre?» Un insegnante, o un poliziotto. «Lo sa dov’è mia madre? Mi può aiutare a cercarla?» Perché invece tacevo?
Frances Greenslade, Il nostro riparo, in uscita per Keller editore
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