Ma neppure lo stile elevato del capitolo V ci soddisfa del tutto. Vogliamo riprovare a volare un po’ più basso? Proviamo…
Le campane dei vari campanili hanno appena battuto il tocco. E per riprendere le fila sparpagliate di questo racconto non ci viene in mente niente di meglio che fermare subito l’orologio per visitare in contemporanea tutti i suoi personaggi di maggior spicco e vedere, dovunque si trovino, che cosa stanno combinando.
1. Egnocus. L’avevamo lasciato ieri sera nel suo bivacco sul roccione e lo ritroviamo ancora lì. Ha in mano un binocolo. Sì proprio quello che serviva al suo papà, quando ancora si consentiva di andare alle corse a San Siro, per vedere prima che ad occhio nudo come e perché stesse perdendo del denaro su un cavallo. Se lo puntasse sulla macchiolina che è un panfilo e che sempre pigramente oscilla tre o quattro miglia fuori di Portofino, e se quel blando sussidio da ippodromo fosse invece un telescopio, sia pure dei più scarsi, vedrebbe
2. Un bambino a lui sconosciuto che spenzolandosi sulla battagliola al mascone di sinistra passa il tempo a sputare nell’acqua. Dalla frequenza degli sputi e dalla persistenza con cui ne osserva i cerchi che s’allargano, si capisce che il bambino s’annoia. E così è infatti. Nessuno ha voluto dire a Bagio perché nonno Bogliaccio lo abbia relegato in questa barca, e poi nemmeno per andare in qualche posto ma per star fermi in mezzo al mare! Che gioco cretino. […]
Fabrizio Dentice, Egnocus e gli Efferati, Adelphi