Archive for Maggio 2016

Dal diario di Mazie Phillips-Gordon

31 Maggio 2016

9788880576501_0_170_0_75.jpg

Stamattina presto Rosie ha cercato di fare la carina con me. Un bel cambio rispetto alle urla, mi pare.
Lei: «Non vorresti un innamorato?».
Io: «Il mondo intero è il mio innamorato».

Jami Attenberh, Santa Mazie, Giuntina, traduzione di Paola Buscaglione Candela

Pubblicità

Il primo capitolo è fondamentale

30 Maggio 2016

“Il primo capitolo è fondamentale, Marcus. Se ai lettori non piace, non leggono il resto del libro. Tu come intendi cominciare il tuo?”
“Non lo so, Harry. Pensi che un giorno ci riuscirò?”
“A fare cosa?”
“A scrivere un libro.”
“Ne sono certo.”

Joël Dicker, La verità sul caso Harry Quebert, Bompiani, traduzione di Vincenzo Vega

Come odio questi attacchi terroristici

26 Maggio 2016

“Come odio questi attacchi terroristici,” dice l’infermiera magra a quella più anziana. “Vuoi una cicca?”
La più anziana prende la gomma da masticare e annuisce. “Che ci puoi fare?” dice. “Anch’io odio le emergenze.”
“Non sono le emergenze,” insiste quella magra. “Io non ho problemi con gli incidenti e il resto. Sono gli attacchi terroristici, ti dico. Quelli rovinano tutto.”

Etgar Keret, “Improvvisamente, la stessa cosa”, Sette anni di felicità, Feltrinelli, traduzione di Vincenzo Mantovani

Ciò che conta nella vita è giocare di più e lavorare di meno

25 Maggio 2016

Lavitasecondo.jpg

«Ascolta, sorellina. Se vuoi essere una vera cinese, devi essere brava in matematica. Se vuoi essere una finta cinese, tingiti i capelli di biondo e fatti chiamare Mary.»
Credo alla maggior parte delle cose che Lai Ker mi dice perché lui è davvero intelligente, prende sempre ottimi voti ma è anche un tipo sveglio. Naturalmente non lo ammetterei davanti a lui, ma qualche volta mi chiedo se abbia sempre ragione. Come quando continua a elencare le cose che fanno di me una «vera» cinese e quelle che fanno di me una «finta» cinese. Lui dice che i veri cinesi lavorano velocemente così possono giocare di nascosto mentre gli altri sgobbano.
«Sorellina, il tempo è fondamentale. Ciò che conta nella vita è giocare di più e lavorare di meno. La gente pensa sempre che i cinesi siano dei gran lavoratori, ma in realtà sono persone sveglie che finiscono di fare ciò che devono entro mezzogiorno per poi mettersi a giocare al computer.»
Mi ha anche detto che i «veri» cinesi mantengono sempre il loro nome cinese.
«Xing, hai presente, vero, quei ricconi bianchi che vivono in Asia e che cambiano il loro nome da Charlie a Chang o da Mike a Ming? Bisogna essere orgogliosi della propria cultura.»
Lai Ker è anche fissato con questa cosa dei Musi gialli devono farsi sentire o, per fare prima, MGDFS. Dice che se non sono intelligente o sveglia a sufficienza, o se non mi faccio sentire, sarò una «cinese senza voce» e verrò «ignorata dalla società». Lai Ker e il suo losco amico Jimmy Tang mi hanno spiegato il significato di MGDFS. Non farsi calpestare dai ragazzi bianchi, sparare battute a metà lezione e smascherare le commesse razziste nei negozi chic sono tutti esempi di MGDFS. Hanno detto che se voglio essere una «vera» cinese con una voce propria, devo fare come loro. Spero di riuscire a trovare presto la mia voce, anche se non ho ancora ben capito come si faccia.

PP Wong, La vita secondo Banana, Baldini&Castoldi, traduzione di Raffaella Patriarca

Taccuino blu

23 Maggio 2016

81H3reXj54L.jpg

Tutti abbiamo senz’altro sperimentato quella spiacevole sensazione che ci assale alle stazioni ferroviarie. Dobbiamo accomiatarci da qualcuno. La persona cui dobbiamo dare l’addio è già salita sul treno, ma il treno non si decide a partire. Si sta lì, uno sulla piattaforma e l’altro al finestrino, e si cerca di conversare, e improvvisamente non c’è più una sola parola da dirsi.
Naturalmente dipende dal fatto che tutto d’un tratto non possiamo più sentire quello che vogliamo. La situazione ci prescrive un sentimento. E chi non ha provato quell’enorme sollievo quando il treno finalmente si muove?
Oppure i funerali. Quando qualcuno muore, o si ammala, quando sopravvengono delle delusioni, allora ci si aspetta da noi che proviamo determinati sentimenti.
In tutte quelle situazioni, eccetto quelle più quotidiane e neutrali, siamo sottoposti a una pressione su come dobbiamo comportarci, su come ci dobbiamo sentire. E a voler guardare più da vicino, si scopre non di rado che sono romanzi, film o drammi visti o letti qualche volta a prescriverci quei ruoli.
Quando nella realtà ci confrontiamo con situazioni insolite (per esempio, che rivalità che ci eravamo aspettati svaniscono e si tramutano invece in un amore che ci lascia soli) la prima cosa a cui ci aggrappiamo sono proprio quei modelli sentimentali da romanzo.
Ma non ci danno molto sostegno. Ci lasciano più soli di prima, e violentemente precipitiamo nella realtà.

Lars Gustafsson, Morte di un apicultore, Iperborea, traduzione di Carmen Giorgetti Cima

C’è anche questo tipo di libraio

18 Maggio 2016

La casa dove abitava era appartenuta a Dreyfuss, il quale aveva versato l’anticipo grazie a un’eredità in cui, dopo il suicidio della madre, aveva anche aperto un negozio di libri usati in una traversa di Piedmont Avenue. La casa aveva rispecchiato le condizioni della mente di Dreyfuss: per molto tempo abbastanza ordinata, poi sempre più ingombra di oggetti eccentrici come jukebox d’epoca, e infine piena zeppa di documenti per la sua “ricerca” e di cibarie per un “assedio” imminente. La sua libreria, che la gente si divertiva a visitare per l’esperienza di parlare con una persona più intelligente di loro (perché nessuno era più intelligente di Dreyfuss; aveva una memoria fotografica e sapeva risolvere a mente problemi scacchistici e logici di alto livello), si era riempita di odori putrescenti e paranoia. Dreyfuss ringhiava ai clienti mentre batteva gli acquisti alla cassa, e poi si mise a urlare contro chiunque entrasse, e poi cominciò a lanciare libri addosso alla gente, cosa che portò ad alcune visite della polizia, e di conseguenza a un’aggressione, e di conseguenza al suo ricovero forzato. Quando uscì, con la prescrizione di un nuovo cocktail di farmaci, Dreyfuss scoprì che il negozio non c’era più, il magazzino era stato liquidato per pagare l’affitto arretrato e i danni veri o inventati, e la casa era stata pignorata.

Jonathan Franzen, Purity, Einaudi, traduzione di Silvia Pareschi

L’amore non è un rapporto alla pari

17 Maggio 2016

image_book.jpg

Per un certo tempo dopo il matrimonio era stata oggetto di un tale desiderio che non le dispiaceva quando finalmente il marito si addormentava. Ad un certo punto, però, lui aveva cominciato a dormire subito ed era da allora che lei aveva preso a star sveglia più di frequente, e a fissare il buio, interrogandosi sulle peculiarità degli uomini, ponendosi dubbi sul futuro, fino a una notte in cui aveva scosso il marito per svegliarlo e comunicargli il proprio desiderio. Magnanimo, lui le aveva messo una delle sue lunghe braccia bianche intorno alla vita; lei si era girata verso di lui, fremente di gioia e di aspettativa, fiduciosa. Ma non era successo altro, e in un attimo il marito si era riaddormentato.
Fu la notte in cui Mrs Bridge decise che se il matrimonio poteva anche essere un rapporto alla pari, l’amore non lo era.

Evan S. Connel, Mrs Bridge, Einaudi, traduzione di Giulia Boringhieri

Il tempo diacronico delle case

12 Maggio 2016

Sono passati tanti anni, disse come se mi leggesse nel pensiero, ma sembra ieri. Entrammo in casa. Non c’erano più tanti mobili come un tempo e il disfacimento del giardino corrispondeva a quello nelle stanze, che ricordavo luminose, e che adesso sembravano inondate da una polvere rossiccia, sospese in un tempo diacronico dove si succedevano scene incomprensibili, tristi, lontane. La mia poltrona, la poltrona dove mi sedevo io, era ancora lì. María Canales seguì la direzione del mio sguardo e la notò. Si sieda, padre, disse, è a casa sua.

Roberto Bolaño, Notturno cileno, Adelphi, traduzione di Ilide Carmignani, foto Walker Evans

Riepiloghiamo cosa fanno i personaggi

2 Maggio 2016

Ma neppure lo stile elevato del capitolo V ci soddisfa del tutto. Vogliamo riprovare a volare un po’ più basso? Proviamo…

Le campane dei vari campanili hanno appena battuto il tocco. E per riprendere le fila sparpagliate di questo racconto non ci viene in mente niente di meglio che fermare subito l’orologio per visitare in contemporanea tutti i suoi personaggi di maggior spicco e vedere, dovunque si trovino, che cosa stanno combinando.

1. Egnocus. L’avevamo lasciato ieri sera nel suo bivacco sul roccione e lo ritroviamo ancora lì. Ha in mano un binocolo. Sì proprio quello che serviva al suo papà, quando ancora si consentiva di andare alle corse a San Siro, per vedere prima che ad occhio nudo come e perché stesse perdendo del denaro su un cavallo. Se lo puntasse sulla macchiolina che è un panfilo e che sempre pigramente oscilla tre o quattro miglia fuori di Portofino, e se quel blando sussidio da ippodromo fosse invece un telescopio, sia pure dei più scarsi, vedrebbe

2. Un bambino a lui sconosciuto che spenzolandosi sulla battagliola al mascone di sinistra passa il tempo a sputare nell’acqua. Dalla frequenza degli sputi e dalla persistenza con cui ne osserva i cerchi che s’allargano, si capisce che il bambino s’annoia. E così è infatti. Nessuno ha voluto dire a Bagio perché nonno Bogliaccio lo abbia relegato in questa barca, e poi nemmeno per andare in qualche posto ma per star fermi in mezzo al mare! Che gioco cretino. […]

Fabrizio Dentice, Egnocus e gli Efferati, Adelphi

L’artificio narrativo del presente storico

1 Maggio 2016

Rileggendo il capitolo IV ci accorgiamo che ci siamo un po’ lasciati andare. Non per l’indiscrezione, l’indelicatezza, la protervia di aver tallonato l’architetto Bandiera fin nel più intimo e geloso sacrario dell’igiene personale. No, no: questo va benissimo. Sono squarci di verità che servono a dare la terza dimensione al personaggio. Se abbiamo peccato è stato per via del presente storico. Questo artificio narrativo è sempre di gran comodità per lo scrittore. Gli consente di stare attaccato ai suoi eroi, si scusi la similitudine, come una zecca ad un cane, di osservare e annotare in contemporaneità tutto quello che fanno, «zoomando» anche, si perdoni il neologismo figlio della Decima Musa, su dettagli triviali e scabrosi che vivificano il racconto dandogli il sapore autentico di ascelle che ha la vita vissuta.

Fabrizio Dentice, Egnocus e gli Efferati, Adelphi