Da direttore editoriale di elliot, una casa editrice indipendente, come vede un’iniziativa come 8×8 che dà voce a potenziali esordienti? Può essere un’occasione di scouting?
È esattamente questo: un’occasione di scouting. Ma è anche un’occasione per testare lo stato di salute della scrittura di chi ancora non si è avvicinato in maniera professionale al lavoro editoriale e quindi non ha ancora avuto a che fare con editor, editori e agenti: in qualche modo non è ancora corrotto dal nostro terribile ambiente. E quindi è molto utile soprattutto per capire quali sono le nuove tendenze – se ce ne sono – oppure se si è ancora in un momento stagnante. Quindi sì, scoprire tendenze narrative è utile.
Tempo fa avevate una collana specifica per gli italiani, Heroes, ora invece li distribuite nei vari marchi. Cosa è stato fatto e in che direzione andrete?
L’idea di integrare e accorpare gli scrittori italiani nella collana della contemporanea è stato, secondo me, un passaggio inevitabile. Primo, perché è vero che la maggior parte di quelli che pubblichiamo sono esordienti – anche se non del tutto, però nella maggior parte sì. Rischiava di diventare una specie di ghetto, di piccola nicchia protetta che invece non si può né chiedere né tantomeno auspicare. Chi scrive e pubblica per la prima volta deve correre gli stessi rischi di chiunque altro, e deve anche essere accettata la stessa valorizzazione di scrittori magari ben più navigati. Mi sembrava un modo per rendere omaggio alla fatica di chi esordisce e allo stesso tempo per non mettere chi giudica (i critici, in questo caso) in una posizione già di pregiudizio, quindi equiparare il valore di chi esordisce a quello di altri già avanti nella carriera.
Ha riscontrato un tratto comune tra i racconti in gara in questa quarta serata? Ad esempio a livello di temi, stile e linguaggio?
Quello che ho riscontrato innanzitutto è che c’è un’incapacità a individuare temi che possono essere occasione di un uso di una scrittura umoristica, cosa che per esempio io amo moltissimo ma che magari in Italia ha una tradizione molto particolare: scrittori umoristici non ce ne sono poi tanti. Forse viene considerato un genere di serie B, cioè se non fai commuovere sei meno serio. Invece – e questa è una cosa che mi sorprende sempre – mi rendo conto che mai come in questo periodo così confuso – con personaggi come Trump o gli stessi nostri politici – ci sarebbe materia per la scrittura umoristica per tirar fuori e trattare delle cose da un’altra prospettiva. Quindi il tratto comune è questa totale assenza di gioia di vivere. E poi, tranne un paio di casi in cui c’è una personalità che sboccia e che fa capolino, c’è anche una certa uniformità di scrittura.
Per quel poco che si può capire, secondo lei come si inseriscono questi racconti nel contesto della narrativa attuale? Trova che siano in sintonia con ciò che viene pubblicato?
Mi sembra di sì, e lo dico con un po’ di dispiacere perché credo che i giovani autori dovrebbero sempre trovare una cifra nuova e diversa. La mia generazione era dettata dal problema opposto, cioè dal cercare sempre di stupire, essere unici, sconvolgere e scandalizzare; c’era una tendenza completamente diversa. Questo tipo di uniformismo e conformismo va un po’ nella direzione di ciò che vedo in giro. Posso dire una cosa che può suonare strana in questa circostanza? Io non amo molto i racconti perché mi lasciano il più delle volte in sospeso, insoddisfatta. Ho bisogno di respiro a meno che ci sia tra storia e scrittura una perfezione stilistica. La pulizia e l’uso con il bilancino delle parole nella cura dello scrivere mi danno un’emozione, ma succede raramente. Non sono un’amante dei racconti, eppure ho pubblicato delle raccolte – mi contraddico –, ma, ecco, devo essere molto molto appassionata di un autore.
Investirebbe su qualcuno di questi esordienti per un’eventuale raccolta di racconti?
Ce ne sono uno o due che mi piacerebbe vedere se saprebbero fare di più. La forma così breve è complicata: ricreare un fatto compiuto senza sbavature con una scrittura esigente – come deve essere in un racconto – è la prova più difficile. Per me sarebbe più facile giudicare romanzi. Se stasera ci avessero dato otto romanzi, a parte la lunghezza di leggerli, sarebbe stato più semplice giudicare.
A cura di Martina Mincinesi e Sara Valente