D’altro canto, Burke faceva un uso parsimonioso delle similitudini. E gli autori moderni dovrebbero seguire il suo esempio. Di recente, infatti, è scoppiata una terribile epidemia. Le similitudini si accumulano sulle pagine dei nostri giovani scrittori fitte come brufoli sulla faccia di un ragazzino, e sono altrettanto inguardabili. Una similitudine deve avere una sua ragion d’essere. Evocando il ricordo di una cosa familiare, consente di vedere con più chiarezza l’oggetto del paragone, oppure, menzionandone una non familiare, attira l’attenzione del lettore. È pericoloso utilizzarla come mero ornamento; è detestabile utilizzarla per sfoggiare brillantezza; è assurdo utilizzarla quando non serve ad abbellire né a far colpo (per esempio: «La luna, come un enorme biancomangiare, tremolava sopra le cime degli alberi»).
[W.S. Maugham, Lo spirito errabondo, trad. it. di G. Pannofino, Adelphi, Milano 2018, di p. 171]
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