Archive for the ‘buongiorno notte’ Category

28 marzo 2011

Bisogno supremo

A come Aspirazione

Analizziamo i desideri dell’uomo, qualunque esso sia, qualunque vita faccia per bisogno o per elezione; noi scopriremo in tutti un’unica volontà direttiva, la stessa volontà principe, o nuda e prepotente, o mascherata di dissimulazione, o vestita di provvisoria rassegnazione; quella di essere felice.
Nessuno sfugge a questo bisogno supremo, e tutti i desideri, siano essi spontanei o riflessivi, nascono al solo scopo di farci avvicinare all’unico bene che può allietare la nostra esistenza; qualunque sia la vita che si sceglie e che si segue, è sempre la vita felice, quella cui si anela. […] hanno tutti più o meno in fondo all’anima il desiderio ardente, incessante, esclusivo della felicità.
[…] Ma per uno di quei contrasti comuni nella psiche umana, molti sono egualmente oppressi, e scoraggiati dall’amaro dubbio che la felicità abbia l’attrattiva disperata delle cose impossibili, di ciò che è fuori dal nostro potere, che sia lontana, irraggiungibile come le stelle, divina e inafferrabile come un dea. È la falsa concezione della felicità che genera il dubbio della sua possibilità; perché quale vita umana potrà mai giungere alla perfezione di un godimento continuo e costante senza intervalli di noie e senza percosse di dolore? La felicità così concepita può esistere solo in un paradiso, cioè in un ambiente perfetto […].
Ma la nostra terra è un’armonia di movimenti, la nostra vita fisica è un rinnovamento continuo, la nostra vita morale è un’aspirazione insaziata, quindi anche la nostra felicità deve essere fatta di movimento, di rinnovamento, di aspirazione fiduciosa verso un ideale; può essere soltanto un seguito di gioie diverse, un mosaico di piaceri multiformi, una collana di dolcezze sempre sperate e sempre rinascenti.

Oscar Fingal Wilde, Divagazioni sulla felicità, Robin edizioni

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28 febbraio 2011

Proust

Gli esseri umani non sanno nulla gli uni degli altri, e ciascuno vive al buio, stretto nei confini delle proprie sensazioni pigre e fuggevoli, delle proprie convinzioni ostinate, ingannevoli e contraddittorie. Quando si ama, l'ansia di possedere il segreto di un altro essere, l'intima sostanza del suo pensiero, la realtà della sua esistenza, può diventare una sofferenza intollerabile; perché ci si rende come gli strumenti che abbiamo per indagare tale segreto siano fragili e inconsistenti: prendiamo fra le nostre mani un volto atteggiato a un sorriso che può significare ugualmente comprensione o disprezzo, dedizione o impazienza di lasciarci; e ci vengono rivolte parole dove la verità e la menzogna hanno intessuto una trama così fitta che è impossibile districarla.

Natalia Ginzburg su Proust. 

12 febbraio 2011

Variazione
 
“Non commettere atti impuri” è il sesto comandamento. Di regola mi sarei dovuto occupare del quarto, “Onora il padre e la madre”, ma credo che adesso sia più importante parlare del corpo in relazione alla morale.
Gli scandali che riguardano il presidente del Consiglio sono stati messi in pubblica piazza prima da lui stesso in una lunga serie di battute che, usando un linguaggio triviale e machista, denunciano un erotismo che fa tenerezza e pena, come quello di un bambino, imprigionato in un corpo vecchio e affaticato, e poi dai rumor provenienti dalle intercettazioni e dalle interviste pubblicate con sdegno, compiacimento e curiosità da tutti i giornali.
I processi si svolgeranno e daranno un esito a queste vicende, che sembrano nascondere anche situazioni fuori dalla legalità.
Ma, non è solo questo ad indignare alcuni italiani, è questo linguaggio, questo contesto culturale, sociale e antropologico, che fa orrore.
I divertimenti dell’imperatore consentono al mentecatto di sognare e affossano la bellezza. L’imperatore, ammantandosi della privacy, esalta il principio libertario e rivoluzionario di una sessualità libera e promiscusa, deprimendola e affossandola nella ritualità del peccatore, che agisce e si confessa in un circolo vizioso e nevrotico, che trova respiro solo nella presunzione di innocenza davanti agli altri uomini, poiché questa volta fotte, comanda, confessa e assolve la stessa persona, il primus inter pares.
Credo che tutti, non solo le donne, possiamo contrapporci a tutto questo, iniziando dalle nostre relazione interpersonali, dalla nostra sessualità e dal nostro rapporto col corpo e col sesso, facciamo di questa pochade senza il briciolo d’ironia il detonatore per una vitalità e una gioia ritrovata.
 

10 febbraio 2011

Le immagini del potere

“Noi fascisti siamo gli unici veri anarchici, perché l'unica vera anarchia è quella del potere ”.
Così dice il Duca in uno dei suoi deliri erotici e politici dell'ultimo atroce e, oggi, grottesco film di Pier Paolo Pasolini, Salò o le 120 giornate di Sodoma.
Questa affermazione è paragonabile a quella che alcuni politici italiani fanno sul proprio privato. Il privato diventa una sfera in cui non è permesso guardare, si ammanta di un aura di mistero e di assoluto arbitrio, che può anche prescindere da qualunque morale.
Ieri sera, ho assistito con un pubblico di studenti alla proiezione di questo film, nei momenti più drammatici del film, molti ridevano. Questo non avveniva per allontanare con l'arma della risata le atroicità che si consumavano davanti ai nostri occhi, né per estraniamento brechetiano mal riuscito, ma perché, in fondo, quel film parlava di noi come un'intercettazione, come un video rubato o un annuncio tv. I divertimenti di satiri demoniaci non sono più fonte né di scandalo, né di riflessione, ma di identificazione, compiacimento e rassegnazione.
 

28 gennaio 2011

Non bisogna solo ricordare, ma anche immaginare, per non dimenticare!
 

21 gennaio 2011

Ad un cow boy
 
Non mi sarei proprio aspettato di poter dedicare Elsa Morante a Clint Eastwood, dopo aver visto il suo ultimo film ed esser sceso a compromessi con qualche artificiosità di sceneggiatura, gli sussurro all’orecchio queste parole per Hereafter:

Anche se mi chiamo delirio,
ripòsati in questo sorriso della mia buona notte.
Solo in quest’ultimo punto hai potuto ancora incontrarmi.
Questo è il nostro addio.

Hereafter è un film straordinario sulla devastazione che la morte porta nelle vite dei sopravvissuti e sulla sua elaborazione. Il paradiso, l’aldilà, non è né una stucchevole speranza, né una presa di posizione, ma solo una possibilità. Ciò che conta è baciarsi e rincontrasi negli altri.
 

16 gennaio 2011

Ricordati di santificare le feste 

Cosa ci posso fare se quando mi dai appuntamento alle cinque, inizio ad essere felice dalle tre? Aspetto i giorni di festa con ansia. Tutti gli altri sono dedicati a giochetti ammazza tempo e preparativi. Faccio prove culinarie. Compro abiti costosi per indossare sempre lo stesso o quello dell’ultimo minuto. Pulisco casa con un atteggiamento fra il casuale e il metodico.
Quando arriverà, dovrà trovarmi preparato, ma non voglio essere ridicolo come l’abito della festa, che mia madre mi faceva indossare di domenica. Voglio che abbia la sensazione di una quotidiana eleganza, di una meticolosa attesa, che, di giorno in giorno, si è trasformata in vita, nella mia vita. L’ultimo Natale non è arrivato nessuno e così è stato anche a Pasqua. Dopo le cinque, si è fatto notte e io ho smesso sia di essere felice che di aspettare.
 

7 gennaio 2011

Ritratto di signora

Quello che segue è un articolo che Pier Paolo Pasolini pubblicò su Vogue per la sua attrice, amica Laura Betti. È un ritratto straordinario e un modello di scrittura per gli articoli di costume, che assomiglia ad un’allegra elegia d’amore e morte.

Pioniera della contestazione? Sì, ma anche sopravvissuta alla contestazione.
Quindi restauratrice di uno stata quo ante. Dove c’era il pieno (l’ordine borghese e l’opposizione ufficiale), si è avuto il caos; caduto il caos, quel pieno è apparso come vuoto, e chi c’era dentro, a fare il buffone della protesta, si è trovato come in una stanza di cui fossero scomparse improvvisamente le pareti. I popoli antichi rievocavano artificialmente il caos per rinnovarsi, ricostruendo il momento inaugurale. Il caos non passa senza lasciare la necessità di rinnovamento. Invece del rinnovamento si è avuta la restaurazione, con le squadre fasciste. Quel pupazzo che nel «pieno degli anni Cinquanta e dei primi anni Sessanta» si è trovato ad essere vivo, ma strettamente dipendente dal mondo che egli, in quanto pupazzo, contestava, è poi stato travolto e vanificato dal caos del biennio dal 1968 al 1970, col ritorno della normalità ha verificato in sé l’accadere di un fenomeno molto comune: l’invecchiamento. La persona di cui sto in particolare parlando non ammette nulla di tutto questo. È invecchiata e morta: ma son sicuro che nella sua tomba ella si sente bambina. Ella è certamente fiera della sua morte, considerandola una morte speciale. Inoltre pur ammettendo in parte di essere morta, appunto perché la sua morte, essendo speciale, può essere ammessa, essa, nel tempo stesso, non l’ammette: «La mia morte è provvisoria, è un fenomeno passeggero», essa par dire, con l’aria di un personaggio di Gogol, di Dostoevskij, o di Kafka, «in alto loco si sta brigando perché tale noiosa congiuntura venga superata e tutto torni come prima. Del resto, io non ho soluzione di continuità: sono ciò che ero. La mia possibilità di stupore non ha limiti perché io cado sempre dalle nuvole, e rido, con meraviglia fanciulla». (Contemporaneamente, là nella tomba, dice: «Io non son mai nelle nuvole, son sempre coi piedi a terra, niente mi meraviglia perché, da sempre, so tutto».) Ambiguità? No: doppio gioco. Ché essa, la morta, Laura Betti, non era ambigua, anzi, era tutta d’un pezzo: inarticolata come un fossile. Ella ha aderito alla sua qualità reale di fossile, e infatti si è messa sul volto una maschera inalterabile di pupattola bionda; (ma: «attenti, dietro la pupattola che ammette di essere con la sua maschera, c’è una tragica Marlene, una vera Garbo»). Nel momento stesso però in cui concretava la sua fossilizzazione infantile adottandone la maschera, eccola contraddire tutto questo recitando la parte di una molteplicità di personaggi diversi fra loro, la cui caratteristica è sempre stata quella di essere uno opposto all’altro.
La sua grande fortuna è stata quella di avere evitato di vivere in uno dei tanti paesi dittatoriali che ci sono al mondo; e soprattutto di avere evitato di finire in uno dei tanti possibili campi di concentramento. Che terrificante vittima sarebbe stata! Ma in un necrologio non si dicono queste cose. Facendo di lei un esame superficiale, molti le attribuirono in vita una volontà provinciale di degradazione degli idoli. No, non era soltanto il sadismo di una provinciale che giunta nel Centro dove abitano gli idoli, prova il piacere di profanarli e di dissacrarli: in questa dolorosa operazione c’era il suo bisogno di essere contemporaneamente una e un’altra, una che adora, e un’altra che sputa sull’oggetto adorato; una che mitizza e un’altra che riduce. Ma non era ambiguità, ripeto. Il suo gioco era chiaro come il sole. Naturalmente, proponendosi prima di tutto, come una delle leggi-chiave del suo codice, di non fare mai, in alcun caso, pietà, essa, per il gioco dell’opposizione, ha anche sempre voluto e ammesso anche di fare pietà. Ma la pietà non è stata causata da una o dall’altra delle sue azioni o delle sue situazioni: no, essa è sempre stata causata dall’eccessiva chiarezza del suo gioco. Dunque è attraverso la pietà che essa è stata costretta a provocare verso la sua persona, che è venuta fuori la sua generosità: cioè qualcosa di eroico. Questo è infatti il necrologio di un’eroina. Bisogna aggiungere che era molto spiritosa e un’eccellente cuoca. 

1 gennaio 2011

25 dicembre 2010

Noi credevamo. On Revolution
 
Brevemente, il film di Mario Martone, tratto da un romanzo di Anna Banti, scritto dal regista partenopeo e da Giancarlo De Cataldo è una storia di amicizia, passione civile, tradimento e bilanci sia politici che esistenziali che portano ad esiti piuttosto fallimentari.
Domenico, l’intellettuale innamorato del sogno di un’Italia democratica e repubblicana, che riesce a mettere insieme passione rivoluzionaria e discussione politica razionale, Salvatore, popolano e innocente, vittima sacrificale delle divisioni interne della Giovane Italia e degli estremismi ideologici, e, infine, Angelo, disperato rivoluzionario che vede solo nella lotta la soluzione, vivono da punti di vista diversi e da orizzonti diversi il senso stesso della rivoluzione. Questi personaggi provano la gioia prima della rivoluzione, l’esaltazione della vittoria e la delusione di un esito lontanissimo da come avevano sperato, ecco il motivo dell’imperfetto storico del titolo che dà la speranza di un azione che continua silente nel tempo, ma ne annuncia anche la cristallizzazione.
Il film di Martone è un feuilleton dai toni melodrammatici, che, attraverso un andamento da grande opera verdiana, quasi come se il regista ci invitasse ad alzarci e a gridare gli evviva senza anagrammi sabaudi, ci consegna una riflessione lirica, meridionale, passionale e, sì, anche “gramsciana” del Risorgimento.
Una visione che dà a questo cinquantesimo anno un ricordo vivo, fatto di carne e sangue, di coloro che hanno fatto l’Italia: strateghi, dottori della politica, teorici, filosofi, borghesi e intellettuali, ma anche popolani e sovversivi. Senza alcuna retorica patriottica, il film racconta l’Italia, scoprendone le cause primi dei mali che l’attanagliano, nell’unico modo in cui si può parlare di questo paese, pieno di rivoluzionari e spiriti rivoluzionari, ma senza rivoluzioni, cioè in modo critico e poetico.