Archive for the ‘lingua’ Category

Le meravigliose virgole di Aldo Buzzi

17 agosto 2018

Un giorno, negli Stati Uniti, mentre, seduto in cucina davanti al forno elettrico illuminato, guardavo, in mancanza di un vitello ruminante, delle capesante che, spolverate di pan grattato e pepe nero, cuocevano su un ripiano leggermente imburrato, dissi… cioè il mio ospite disse: «Il forno è la tua televisione». Era uno spettacolo, infatti, perché i poveri molluschi, a causa del fortissimo calore, facevano piccoli movimenti di assestamento come se, al momento di assumere la forma gastronomicamente più perfetta, riacquistassero, per un attimo, la vita.

Aldo Buzzi, Un debole per quasi tutto, Ponte alle Grazie

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Virgola prima delle congiunzioni

28 luglio 2018

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Qui si fa a botte. A quanti di voi frulla ancora per la mente la regoletta sulla virgola prima della e che ci inculcavano alle elementari? (Dico «ci», ma devo confessarvi che a me non è successo. Più che altro perché credo che l’ottima maestra Tucci non abbia mai spiegato le virgole, o io ero assente, o altrove, o non me lo ricordo, ma facciamo conto – visti gli schiamazzi sull’argomento – che anche io sia stato traviato come la maggior parte di voi.) Sono sicuro, intendo, che vi abbiano imposto un comportamento per l’ultimo elemento di un elenco. Ecco: il mondo si divide in quelli che non metterebbero mai e poi mai la virgola davanti a e congiunzione ma, cascasse il mondo, ne francobollano una davanti ai ma, e quelli che la mettono sempre e comunque davanti a e e davanti a ma. Poi ci sono, sparuti, i pensatori silenziosi. Una minoranza senza volto che si chiede: «Ma qui ci va la virgola?». Do subito la conclusione così stiamo tutti più tranquilli:
La virgola prima di e e prima di ma ci va solo se è necessaria.

Leonardo G. Luccone, Questione di virgole. Punteggiare rapido e accorto, Laterza

Metafore parole fossili

2 settembre 2016

Credo che esistano solo alcune metafore essenziali, e l’idea di inventare nuove metafore, è sbagliata. Abbiamo, per esempio, tempo e fiume, vivere e sognare, dormire e morire, occhi e stelle. Tali esempi dovrebbero essere sufficienti. Invece, dieci giorni fa, ho letto una metafora che mi ha sorpreso molto. Appartiene ad un poeta indiano : “E ho scoperto allora che le montagne Himalaya sono il riso di Shiva.” Con altre parole, un dio terribile per un monte terribile. Ebbene questa metafora è nuova, almeno per me; non la posso collegare allo stock di metafore che ho citato prima. Mi è sembrato di scoprire nuove metafore a Chesterton, e dopo mi sono accorto che in verità non erano nuove. Per esempio, quando un viking danese dice nella “Leggenda del cavallo bianco”: “E il marmo come la luce solidificata della luna, / E l’oro come un fuoco ghiacciato”. Queste metafore sono certamente impossibili. Eppure, l’idea di comparare il marmo bianco con la luna bianca e il fuoco con l’oro, non è nuova. È espressa solo diversamente. […]
Mi ricordo cosa diceva Emerson: il linguaggio è una poesia fossile. Potete verificare questo fatto cercando una parola nel dizionario. Tutte le parole sono metafore – oppure poesia fossile, lei stessa un’incantevole metafora.

JL Borges

Dictionaries (William H. Gass) — Biblioklept

2 aprile 2016

Dictionaries are supposed to influence usage. Usage is what dictionaries record. “This is what we have meant,” they say; “continue in the same vein so that communication will be accurate, reliable, and fluent.” Then the next dictionary will record that fidelity, and issue the same command, which will complete the cycle. Among users, however, there […]

via Dictionaries (William H. Gass) — Biblioklept

A Word a Day #123: Opimo

20 aprile 2015

Treccani [dal lat. opimus, di origine incerta], letter.
Grasso, pingue: offrire in sacrificio agli dèi vittime o.; Ci ungemo i corpi di quel grasso opimo Che ritroviamo all’intestina intorno (Ariosto); D’opima carne e di vin vecchio empiendosi (Caro). Per estens., fertile, abbondante di frutti: terra o.; campi o.; o anche d’animali: Nell’opima di greggi odrisia terra (V. Monti). Più genericam., copioso, ricco: preda o.; spoglie o. (anche in senso fig.); dai Romani erano dette spoglie o. (spolia opima) le spoglie del comandante nemico ucciso in battaglia dal generale romano vittorioso, il quale le dedicava nel tempio di Giove Feretrio (secondo alcuni, in assoluto, le spoglie del generale nemico ucciso).

Zanichelli:
1 (lett.) grasso, pingue: ci ungemmo i corpi di quel grasso opimo (L. Ariosto)
2 (lett.) copioso, ricco | spoglie opime, ricco bottino di guerra, spec. le spoglie del re nemico vinto da un condottiero romano
3 (fig., lett.) fertile

Modi di dire #15: zoccolo duro

19 febbraio 2015

A partire dal significato generico in cui per “zoccolo” s’intende qualsiasi tipo di basamento o di piedistallo, si è sviluppata nel tempo l’espressione zoccolo duro “per indicare la base di un partito, di un movimento, di un’istituzione, di un gruppo sociale o di altro apparato, che ne costituisce la parte più fedele e più resistente a possibili mutamenti ed evoluzioni o deviazioni” (treccani.it). Nasce infatti negli anni Ottanta (anche se qualcuno sostiene che sia sorta ben prima) all’interno del linguaggio politico e giornalistico per definire quel “nucleo compatto e fedele di un sindacato, di un partito, di un’organizzazione” (Sabatini Coletti), estendendosi poi in altri settori (fino alla recente locuzione “zoccolo duro dei fan” delle serie tv).
In particolare: “Viene lanciata durante la campagna per le elezioni del 26 giugno 1983 da Achille Occhetto per indicare la base del Pci, in grado, a suo giudizio, di resistere a qualunque flessione momentanea, e diventa un’espressione di riferimento del Pci, poi Pds, nel corso degli anni”, scrive Antonello Capurso in Le frasi celebri nella storia d’Italia, Mondadori, 2011.
Nel dizionario economico (simone.it), in un’accezione più ristretta, indica il “livello d’inflazione che, in quanto dipendente da fattori strutturali di lungo periodo tipici di un determinato sistema economico […], risulta di difficile controllo da parte delle autorità preposte”.
Talvolta è usato impropriamente nel senso di “nocciolo duro” (pleonastico, probabilmente per influsso dall’angloamericano hardcore): la parte essenziale, l’elemento fondamentale, il punto principale (treccani.it). “Come al solito, le metafore sono efficaci ma rischiose. Parlando di ‘zoccolo duro’ non penso a qualcosa di solido e tangibile, come se fosse un ‘nocciolo’ che, mordendo l’essere, potremmo un giorno mettere a nudo”. Umberto Eco, in Kant e l’ornitorinco (Bompiani, 2011), si rifà a questa espressione per definire in termini filosofici i limiti e le resistenze dell’interpretazione nella tesi dello “zoccolo duro dell’essere”.

Modi di dire #14: venire a galla

18 febbraio 2015

L’espressione fa riferimento a qualcosa che si manifesta improvvisamente, che “risulta evidente in modo imprevedibile e inatteso” (Devoto-Oli 2009). E infatti, già nella quarta edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca (1729-1738), viene utilizzata per glossare la voce emergere, come suo sinonimo. Il suo significato è legato a quello del sostantivo femminile galla (dal latino galla) che ha origine nell’àmbito del linguaggio della botanica: la galla è quel “rigonfiamento che si riscontra sulle foglie, sui rami e sulle radici di alcune piante in seguito a stimoli naturali o a punture d’insetti” (Devoto-Oli 2009). In senso figurato, il vocabolo è poi passato a indicare una persona o una cosa leggerissima: Giovanni Pascoli, per esempio, lo usa in una delle prime terzine di Italy come termine di paragone per descrivere la protagonista del celebre poemetto (vv. 14-15: “Maria: d’ott’anni: aveva il peso d’una galla”). Ed è proprio da questo significato che è nata la locuzione avverbiale a galla, con cui la parola è entrata nell’uso corrente: associata a diversi verbi come stare, rimanere, tornare o venire, si riferisce a un corpo che, essendo molto leggero, se immerso in un liquido non va a fondo ma rimane “a fior d’acqua, alla superficie” (treccani.it). Il sostantivo galla, peraltro, è rimasto in italiano anche alla base del fortunato verbo galleggiare, attestato fin da Trecento.

Modi di dire #13: fare l’indiano

15 febbraio 2015

Il modo di dire, attestato fin dal Settecento, è usato in riferimento a chi, in diverse circostanze, fa finta di non sapere o di non capire qualcosa. Niccolò Tommaseo nel suo Dizionario della lingua italiana alla voce indiano scrive:Far l’indiano, fingere di non ne sapere, o affettare fuor di proposito maraviglia; com’uomo estraneo che vien di lontano”. E, infatti, l’espressione trova origine nella percezione che gli uomini del medioevo avevano delle genti provenienti dal Medio Oriente e dalle Indie, luoghi da sempre considerati affascinanti e suggestivi: “Quando, dopo le crociate, cominciarono ad affluire a Venezia i primi mori (così venivano chiamati indifferentemente neri, arabi e indiani), venivano guardati come oggi guarderemmo noi un marziano. Il loro atteggiamento, il modo di vestire, li rendevano oggetto di curiosità che essi accrescevano facendo finta di non capire nulla di quello che li circondava.” [Dizionario dei modi di dire Zanichelli].
Anche Alessandro Manzoni, nel dodicesimo capitolo dei suoi Promessi sposi, mette in bocca questa locuzione a uno dei partecipanti all’assalto ai forni: “Ho già visto certi visi, certi galantuomini che giran, facendo l’indiano, e notano chi c’è e chi non c’è: quando poi tutto è finito, si raccolgono i conti, e a chi tocca, tocca”.

Modi di dire #12: fare le cose alla carlona

11 febbraio 2015

Si tratta di un’espressione che significa “agire alla buona, grossolanamente, in modo trascurato”. Secondo gli studiosi, il sostantivo carlona fa riferimento a Carlo Magno, che nei poemi cavallereschi era chiamato “il re Carlone” per i suoi modi semplici e bonari. In particolare, le prime attestazioni del modo di dire risalgono al primo Cinquecento (stando alla seconda edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca sono presenti già nelle Rime burlesche del Berni) e sono legate soprattutto alla locuzione vestire alla carlona: si dice, infatti, che un giorno l’imperatore avesse invitato alcuni nobili a una battuta di caccia, presentandosi “insaccato in un abito di stoffa rozza di taglio contadinesco” e suscitando lo stupore di tutti [Dizionario dei modi di dire Zanichelli]. Tuttavia non è da trascurare il legame con l’inglese churl, che si rifà all’anglosassone cëorl (a sua volta collegato all’antico tedesco Karl “vigoroso”), che significa – appunto – “villano, rustico” [etimo.it].

Modi di dire #11: franco soccorritore

10 febbraio 2015

Da qualche giorno, nell’ambito della politica italiana, sta circolando una nuova espressione: franco soccorritore. Il neologismo è stato coniato da Maurizio Gasparri, o almeno lui lo rivendica, come si legge sul Corriere della Sera e su Repubblica, in occasione della tanto discussa elezione del dodicesimo presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Riprendendo il concetto di franco tiratore (calco dal francese franc-tireur), il franco soccorritore caratterizza, in maniera ironica, quella figura politica che, in votazioni segrete, tradisce gli accordi presi con il partito di appartenenza, andando però, in questo caso, letteralmente in soccorso dell’avversario.
La stampa ha iniziato parlando di una “caccia al franco soccorritore” (Alessandro De Angelis, huffingtonpost.it, 30 gennaio 2015), definito come una “nuova figura politica: il franco soccorritore, l’infermiere democratico che tradisce per samaritana necessità e aiuta il nemico” (Carmelo Caruso, Panorama, 2 febbraio 2015), “chi, cioè, ha votato Mattarella anche se la linea di partito era un’altra” (clandestinoweb.com, 31 gennaio 2015), riferito spesso per estensione “al voto di alcuni parlamentari azzurri e di Ncd per sbloccare la partita su Sergio Mattarella” (liberoquotidiano.it, 30 gennaio 2015).