Ci hai consegnata questa breve memoria di te. Ci hai obbligati a immaginare quello che sarebbe potuto essere, a inventarci una storia del motociclismo con te in griglia. In verità nel circo ci si dimentica tutto in fretta, o almeno in fretta si finge di dimenticare. Cosa sarebbero, oggi, le corse se ci fossi tu? Starebbero tutti lì a battibeccare, a dire che sei pericoloso per il solo fatto che guidi una moto dovendo sopperire alle limitazioni di una fisicità eccessiva per il motociclismo coll’estro e l’aggressività. Chi corre, oggi, l’uomo o la macchina? Chi fa la differenza, oggi, l’uomo o la macchina?
Ti avevano insegnato a puntare quel centimetro di spazio attraversato il quale si entra nell’energia oscura, quello scoppio inconoscibile che possiamo solo immaginare. Oggi è tutto chiaro, si corre nella materia conosciuta, nel nichilismo certo di un’erogazione controllata. Come avresti potuto continuare tu a stupirci? Chi ti avrebbe permesso di farlo? Il grande circo è stato spesso un grande spettacolo pianificato. Piloti cresciuti perché facenti parte di un progetto ultrasponsorizzato, protetti da strutture che fanno girare grandi quantità di denaro. Piloti che, in un modo o nell’altro, devono vincere, con aiuti di ogni tipo. Tu sei arrivato alla vittoria solo perché eri un campione. Sembra abbiano fatto di tutto per non farti crescere, come pilota. Già dovevi combattere con i tuoi ottanta chili, con la tua altezza, con tutto quanto ti faceva perdere, inevitabilmente, tanti decimi sul dritto. Non avevi strutture, non avevi sponsor. Avevi tuo padre e gli amici. Avevi anche tanti nemici. E avevi l’invidia di molti a farti correre controvento. Per questo sei diventato maestro dell’aria, finché hai potuto ci hai regalato lo spettacolo epico di chi vince partendo da dietro, quell’ultimo che diventa primo per solo coraggio, per solo talento. Non si vince per solo talento, mai. Si vince per un brodo perfetto, dove basta un solo grano di sale in più o in meno a rovinare tutto. La vita è la massima invenzione di esseri destinati a quell’altra invenzione che è la morte.
Emanuele Tonon, I circuiti celesti, 66thand2nd