Posts Tagged ‘Gilead’

Un posto inverosimile, che non è Gilead

28 novembre 2016

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Mi chiamo Ruth. Sono stata allevata, insieme a mia sorella più piccola, Lucille, da mia nonna, Mrs Sylvia Foster, e quando lei morì, dalle sue cognate, Miss Lily e Miss Nona Foster, e quando loro scapparono via, da sua figlia, Mrs Sylvia Fisher. Siamo passate da una generazione all’altra, ma abbiamo sempre vissuto nella stessa casa, la casa della nonna, costruita per lei da suo marito, Edmund Foster, un impiegato delle ferrovie che lasciò questo mondo molti anni prima che io ci entrassi. Fu lui che ci relegò quaggiù in questo posto inverosimile.

Marilynne Robinson, Le cure domestiche, Einaudi, traduzione di Delfina Vezzoli

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Da Lila a Gilead

6 marzo 2016

 

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Lila sapeva come sarebbe andata davvero. Un giorno lei e il bambino sarebbero stati a guardare mentre calavano John Ames nella fossa, Mrs Ames da una parte e il padre, John Ames, dall’altra, insieme alla madre e al piccolo John Ames e alle sue sorelle, un piccolo giardino di Ames, tutti interrati là in attesa della resurrezione. Sapeva che era assurdo, ma se li immaginava sempre che spuntavano un giorno di giugno, proprio in mezzo alle rose, senza spezzare un gambo né ammaccare un petalo. Si stringevano la mano, si davano pacche sulle spalle, troppo presi dalla circostanza per notare i suoi fiori. Tranne Mrs Ames, che si abbassava per coglierne uno e mostrarlo alla bambina: Questa è una rosa. Guarda com’è fresca, senti come profuma. La teneva lontana dalla mano della bambina perché nel mondo che avevano lasciato c’erano le spine. Quel giorno sarebbe potuto arrivare tra mille anni. Ma presto, prima che raggiungesse l’età dello sviluppo, il bambino, in piedi al suo fianco, le avrebbe chiesto dove sarebbero stati sepolti loro, lui e lei, perché i posti erano tutti occupati, e Lila avrebbe risposto: Fa niente. Vagheremo un po’. Fino ad arrivare in nessun luogo, e ci troveremo bene. Ho degli amici là.
Avrebbe mantenuto tutte le promesse fatte, il bambino avrebbe imparato Santo, santo, santo e il Salmo 100. Avrebbe pregato prima di mangiare, a colazione, pranzo e cena, finché lei avesse avuto voce in capitolo. Ogni giorno di ogni anno che avrebbe vissuto a Gilead avrebbe ricordato ciò che era accaduto proprio quel giorno, ripassandolo mentalmente così da poter dire, prima o poi: Una volta, quando ancora non camminavi, lui ti portò a pesca. Teneva la canna e il cestino in una mano e te nell’incavo del braccio e si incamminò lungo la strada nel sole del mattino, a lunghi passi come un uomo più giovane, parlandoti, ridendo. Un’ora dopo tornò, posò il cestino vuoto sul tavolo e disse: – Abbiamo piantato la canna e abbiamo guardato le libellule. Poi ci siamo stancati un po’ –. E che sguardo le aveva rivolto, dal dolore che gli dava la felicità. Come se le dicesse: Quando sarà abbastanza grande da capire, raccontagli del giorno in cui siamo andati a pesca. Allora lei gli disse: – Dovresti mettere tutto per iscritto –.

Marilynne Robinson, Lila, Einaudi, traduzione di Eva Kampmann

Al matrimonio di Lila c’erano tutti tranne, ovviamente, uno

25 dicembre 2015

Adesso c’erano gerani alla finestra della cucina e qualcosa che somigliava all’allegria nel candore e nella freschezza delle tendine. Nuove aiuole si stendevano lungo il viottolo. Per il matrimonio di Ames erano tornati a casa tutti i Boughton, tranne Jack, ovviamente. Era l’ultimo matrimonio che avrebbe celebrato, aveva detto il padre, e il più lieto di tutti. […] Lila, l’improbabile sposa, in tailleur di raso giallo e cappellino senza tesa, aveva indugiato sorridendo con imbarazzo affabile, sopportando le loro fotografie, secondandoli. Aveva le braccia piene di rose che aveva coltivato e colto personalmente. Quei fiori erano il suo grande vanto. La prendevano ancora in giro perché si era rifiutata di lanciare il bouquet. Come la sua canonica, il vecchio Ames sembrava trasformato pur rimanendo uguale a se stesso. Adesso non era solo paterno ma anche padre, non solo cortese ma anche cavaliere di una donna che sembrava sempre consapevole delle cortesie che le riservava e ironicamente commossa.

Marilynne Robinson, Casa, Einaudi, traduzione di Eva Kampmann

 

Furono uniti in matrimonio nel salotto della casa del reverendo Boughton, con tutti i figli del celebrante presenti tranne, ovviamente, uno. Portarono addirittura dabbasso Mrs Boughton con indosso un bel vestito e la sistemarono nella sua poltrona. Le ragazze si chinarono per dirle che era un matrimonio, il matrimonio di John. Bello, vero? Poi la lasciarono alla sua quiete sorridente, perché si agitava sempre se percepiva che si aspettavano di più da lei.
Dopo la cerimonia e il pranzo preparato dalle figlie di Boughton, andarono a casa del vecchio. Lila non aveva mai capito la faccenda delle forchette e dei coltelli, che bisognava usarli secondo una certa regola. Ma lui, suo marito, le era seduto accanto, e vicino, e tutti i sentimenti benevoli di cui era oggetto adesso erano dovuti anche a lei. C’era una grande torta bianca decorata con rose di glassa, e le sorelle risero di quante ne avevano fatte e di quanto poche fossero venute simili a quelle delle figure sulla rivista. Piuttosto che ad altre cose. Cavolfiori. Funghi atomici. Gracie ne aveva fatta cadere una per terra e si era irritata tanto da lavarsene le mani e andare a fare una passeggiata, ma Faith aveva capito il trucco, appena in tempo, prima che cominciassero ad arrivare gli ospiti. C’era glassa ovunque in cucina. Teddy disse che aveva sorpreso Glory a leccarsi le dita. Ridevano tutti, tutti così abituati gli uni agli altri, così belli, anche i maschi. Lila non vedeva l’ora di andare via.

Marilynne Robinson, Lila, Einaudi, traduzione di Eva Kampmann

Le cose che rimangono. L’incipit di Gilead, Marilynne Robinson

21 dicembre 2015

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Ieri sera ti ho detto che forse un giorno me ne andrò, e tu mi hai detto: – Dove? – E io: – A stare con il Buon Dio –. E tu: – Perché? – E io: – Perché sono vecchio –. E tu mi hai detto: – Secondo me non sei vecchio –. Hai infilato la tua mano nella mia e hai detto: – Non sei tanto vecchio, – quasi che questo sistemasse la questione. Ti ho detto che forse avrai una vita assai diversa dalla mia e da quella che hai avuto insieme a me, e sarebbe meraviglioso, perché si può vivere bene in tanti modi. E tu mi hai detto: – Questo me lo ha già spiegato mamma –. E poi mi hai detto: – Non ridere! –Perche credevi che stessi ridendo di te. Hai teso la mano coprendomi le labbra con le dita e mi hai rivolto quello sguardo che in tutta la mia, vita ho visto solo sui viso di tua madre e di nessun altro. È una sorta di orgoglio furioso, assai intenso e severo. Mi stupisco sempre un po’ di non avere le sopracciglia strinate dopo essere stato esposto a uno di quegli sguardi. Mi mancheranno.
Sembra assurdo pensare che i morti soffrano di nostalgia. Se sarai un uomo fatto quando leggerai questa lettera – e mia intenzione che tu la legga solo allora – me ne sarò andato da un bel po’. Saprò tutto quel che c’e da sapere sulla morte, o quasi, ma con ogni probabilità me lo terrò per me. Così stanno le cose, a quanto pare.

Marilynne Robinson, Gilead, Einaudi, traduzione di Eva Kampmann

 

Gilead, le rose, proposta di matrimonio

20 dicembre 2015

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Ha una voce incredibilmente soave. Il fatto che al mondo esistesse una voce siffatta e che io fossi l’uomo destinato ad ascoltarla, mi sembrò allora e mi sembra anche adesso una grazia insondabile.
Cominciò a venire a casa mia insieme ad alcune delle altre donne, per prendere le tende da lavare, o sbrinare la ghiacciaia. E poi cominciò a venire da sola per prendersi cura del giardino. Lo fece diventare bellissimo e rigoglioso. E una sera, quando la trovai là, vicino alle splendide rose, le chiesi: – Come potrò sdebitarmi di tutto questo?
E lei mi rispose: – Dovrebbe sposarmi –. E lo feci.

Marilynne Robinson, Gilead, Einaudi, traduzione di Eva Kampmann

 
Tornarono indietro verso il centro di Gilead.
Lui disse: – Immagino che ancora non si fidi di me neanche un po’.
– È che in genere non mi fido del primo che capita. Non vedo perché dovrei -. Continuarono a camminare.
– Le rose sono bellissime. Quelle sulla tomba. È molto gentile occuparsene.
Lei si strinse nelle spalle. – Mi piacciono le rose.
– Sì, però vorrei potermi sdebitare in qualche modo.
Lei si sorprese a dire: – Dovrebbe sposarmi. – Lui si bloccò, e lei si allontanò attraversando la strada a passo frettoloso, il rossore della vergogna e della rabbia così cocente che questa volta di sicuro non avrebbe potuto continuare a vivere. Quando lui la raggiunse, quando le sfiorò il braccio, lei non osava guardarlo.
– Sì, – disse lui, – ha ragione. Lo farò.

Marilynne Robinson, Lila, Einaudi, traduzione di Eva Kampmann

Le affinità dell’esistenza

18 dicembre 2015

Ci sarebbe bisogno di un altro termine per definire uno stato o un attributo di cui non abbiamo alcuna esperienza, con cui l’esistenza così come la conosciamo può avere soltanto una lontanissima somiglianza o affinità. Perciò, creare prove in base a qualsiasi genere di esperienza è come costruire una scala che arrivi sulla luna. Sembra possibile, fino a quando non ti fermi a considerare la natura del problema.

Marilynne Robinson, Gilead, Einaudi, traduzione di Eva Kampmann

Siamo persone, e basta

22 novembre 2015

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Entrando a Gilead si sentiva proprio come a quei tempi, con la differenza che adesso era sola. Doane diceva sempre: «Non siamo vagabondi, non siamo zingari, non siamo indiani selvaggi» quando voleva che i bambini si comportassero bene. Una volta lei aveva chiesto a Doll: – E cosa siamo allora? – e Doll le aveva risposto: – Siamo persone, e basta –. Ma Lila aveva capito che non era vero, o almeno non del tutto.

Marilynne Robinson, Lila, Einaudi, traduzione di Eva Kampmann