Posts Tagged ‘guanda’

Senza di lei eravamo patetici

9 febbraio 2017

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Aveva l’influenza. Era insolito che si ammalasse. I bambini erano piccoli e aveva nevicato e lei non ne poteva più del baccano che facevamo, così ci siamo coperti bene e siamo andati al parco a correre sullo slittino. Senza di lei eravamo patetici. I bambini non trovavano i berretti. Non riuscivano a tirare fuori dalle maniche del piumino le due muffole legate insieme; non volevano vedere nessun altro scendere in slittino per il pendio, nessun ragazzo più grande. Io sono stato un disastro. Li ho portati fuori senza gli stivali di gomma, così non eravamo neanche in fondo alla via che avevano già le dita dei piedi gelate. Si sono messi a rognare e tutti e tre abbiamo capito che senza di lei niente funzionava a dovere. Mi hanno compatito. Che imbarazzo mostrare che il mio talento di padre dipendeva completamente da lei. Se avessi saputo che erano le prove generali della nostra vita futura, forse avrei detto: FATEVI FORZA MERDINE CHE NON SIETE ALTRO, oppure AIUTO. Oppure, prendi me, ti prego, prendi me al posto suo.

Max Porter, Il dolore è una cosa con le piume, Guanda, traduzione di Silvia Piraccini

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Il dolore con le piume (parola di corvo)

11 dicembre 2016

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C’ero una volta io che sono ormai grande e ho
un figlio. E una moglie. E la macchina. Parlo
un po’ come papà.

In macchina attraversiamo le Chilterns, i
Downs, le brughiere, i Broads, cantando
British Holidays for British People. Lo faceva
anche mio papà: ci portava a vedere la Gran
Bretagna. Il Cader Idris, Shingle Street,
Mallyan Spout. Adesso mio figlio,
piccolissimo, grida «cra» quando vede un
corvo perché io, quando vedo un corvo, grido
CRAAAA.

Racconto storie di Corvo, il nostro amico di
famiglia. Mia moglie scrolla la testa. Trova
strambo che io serbi teneri ricordi di vacanze
in famiglia con un corvo immaginario e io le
rammento che avrebbe potuto essere una cosa
come un’altra, che sarebbe potuta andare in un
modo come in un altro, ma ne era uscito
qualcosa di sano, più o meno. Nostra madre ci
manca, vogliamo bene a nostro padre,
salutiamo i corvi con la mano.
Non è poi tanto assurdo.

Max Porter, Il dolore è una cosa con le piume, Guanda, traduzione di Silvia Piraccini

Tutte le mattine felici e infelici

31 agosto 2016

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Tutte le mattine felici si assomigliano, esattamente come tutte le mattine infelici, ed è questo, in fondo, a renderle così profondamente infelici: la sensazione che quest’infelicità sia già accaduta prima, che gli sforzi per evitarla al massimo la rafforzino e probabilmente non facciano che esacerbarla, che l’universo, per qualche inconcepibile, inutile e ingiusta ragione, cospiri contro l’innocente sequenza di vestiti, colazione, denti e ciuffi sparati, zaini, scarpe, giacche, saluti.

Jonathan Safran Foer, Eccomi, Guanda, traduzione di Irene Abigail Piccinini

Mi chiesi perché mai Dio ci mettesse tanto a punirmi

17 gennaio 2016

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Ero malato. Ero morboso. Ero un criminale. Ero un sodomita, un amoreo, un ittita, un sineo, un gebuseo. Ero Caino. Ero Esaù. Ero la moglie di Lot. Mi chiesi perché mai Dio ci mettesse tanto a punirmi, a gettarmi sotto un autobus con le tasche piene di Slim Jim, a farmi venire un attacco di cuore nel bel mezzo di una merendina Moon Pie. E quando credevo che Lui lo stesse facendo – quando sentivo un dolore lancinante al petto (attacco di cuore), o una fitta acuta alla testa (aneurisma cerebrale) – correvo in bagno e mi ficcavo le dita in gola, tentando di rigurgitare i peccati che avevo già inghiottito, sussultando in preda ai conati e sperando che quella sera Dio si sentisse Incline al Perdono Totale, o almeno Incline al Perdono Parziale, o magari soltanto Vagamente Assolutorio. Dopodiché tornavo nella mia stanza, mi prendevo a pugni nello stomaco e cominciavo a dondolarmi avanti e indietro sul bordo del letto, abbracciato a una busta di patatine Doodles che disperatamente, disperatamente non volevo mangiare.

Shalom Auslander, Il lamento del prepuzio, Guanda, traduzione di Elettra Caporello

La libertà non è una condizione naturale

2 agosto 2015

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“Oggi pomeriggio, sulla nave, pensavo che sarebbe dovuto succedere il contrario. Che saremmo dovuti essere lì a salutare la tua, di partenza” disse.
“Io prenderei l’aereo.”
“Devi andare più lontano di me” disse Nedra. “Lo sai.”
“Più lontano di te?”
“Con la tua vita. Devi diventare libera.”
Non diede spiegazioni; non poteva. Non era questione di vivere da soli, anche se nel suo caso era stato necessario. La libertà a cui alludeva era la conquista di sé. Non era una condizione naturale. Era prevista soltanto per chi era disposto a rischiare tutto per averla, per chi era cosciente che senza di essa la vita si riduce a una serie di appetiti, finché un giorno non si hanno più denti.

James Salter, Una perfetta felicità, Guanda, traduzione di Katia Bagnoli

La possibilità di vivere di scrittura

29 aprile 2015

la grande estate plath

[…] Sylvia fece la cameriera al Belmont Hotel di Cape Code. Migliaia di studentesse si erano candidate per un posto di cameriera al Belmont, la cosa aveva un fascino insolente: le aragoste e i flirt, i grembiuli neri e il vocio. Lavorare al Belmont, in fondo, offriva una scusa per flirtare, giocare a tennis e prendere il sole. Come cameriera, Sylvia era negata. Confondeva gamberetti e capesante, rovesciava lo sciroppo d’acero e faceva cadere le posate. Guadagnò appena abbastanza da ripagarsi l’uniforme, le calze, le scarpe e il grembiule. Finito il turno, si metteva le perle al collo e stava in piedi tutta la notte sulla spiaggia con gli amici maschi. Nel giro di due settimane si ritrovò a fare i conti con la sinusite e la bronchite.
Fu durante un turno di servizio ai tavoli che Sylvia ricevette il telegramma in cui le veniva comunicata la vittoria nel concorso letterario di Mademoiselle, e di conseguenza un premio in denaro di cinquecento dollari e la pubblicazione sul numero accademico di agosto. Lei buttò le braccia al collo della direttrice di sala. Cinquecento dollari sarebbero bastati per un dignitoso cappotto invernale, un tailleur raffinato o magari anche per un viaggio in Europa. Per la prima volta, la possibilità di vivere di scrittura le sembrò realistica.

Elizabeth Winder, La grande estate. Sylvia Plath a New York, 1953, Guanda, traduzione di Elisa Banfi

Sopravvivenza sullo stretto

3 novembre 2013

“Credi davvero di poter sopravvivere un’intera serata senza mai allontanarti da me?”
“Ce la posso fare se ce la fai tu.”

Jhumpa Lahiri, “Dove alloggiare”, da Una nuova terra, Guanda, traduzione di Federica Oddera

Quando si diventa genitori

28 ottobre 2013

Succede quando si diventa genitori, disse Holly. Se qualcosa minaccia i tuoi figli, il tempo si ferma. Tutto perde di significato.

Jhumpa Lahiri, La moglie, Guanda

L’ignoto persiste

8 ottobre 2013

Troppe informazioni, eppure nel suo caso non sono abbastanza. In un mondo sempre più povero di mistero, l’ignoto persiste.

Jhumpa Lahiri, La moglie, Guanda, traduzione di Maria Federica Oddera

Il coraggio è buio #2

15 settembre 2013

Gruppi di sciacalli sedevano eretti in branco, le pellicce fulve chiazzate di grigio. Man mano che la luce diminuiva, alcuni iniziarono ad andare in cerca di cibo e le loro sagome snelle si allontanarono trotterellando in linea retta. Gli angosciosi ululati degli animali, echeggiando da un lato all’altro della tenuta, segnalarono che era tardi: era ora di rientrare a casa.

Jhumpa Lahiri, La moglie, Guanda, traduzione di Maria Federica Oddera