Era già buio perché le giornate d’inverno erano più brevi, e mi rammento come gli steli spezzati mi ostacolassero il cammino. La neve cadeva leggera, sembrava una folata di tante manine, io respiravo con il naso, ma quando cominciò a colare spalancai la bocca. A un paio di metri dal signor Harvey, misi fuori la lingua, per assaggiare un fiocco di neve.
«Non volevo spaventarti» disse il signor Harvey.
In un campo di granturco, di sera, naturale che mi spaventassi. Dopo morta, mi ricordai di quell’impercettibile profumo di acqua di colonia nell’aria, al quale lì per lì non avevo prestato troppa attenzione, convinta che venisse da una delle case nei paraggi.
«Signor Harvey» dissi.
«Sei la più grande delle ragazze Salmon vero?».
«Sì».
«E i tuoi come stanno?».
Nonostante fossi appunto la maggiore, nonché un genio dei quiz di scienza, con gli adulti non mi ero mai sentita molto a mio agio.
«Tutti bene» dissi. Tremavo di freddo, ma la soggezione per la sua età, aggiunta al fatto che era un vicino di casa e aveva chiacchierato di fertilizzanti con mio padre, mi tenne inchiodata lì.
«Ho costruito una cosa, qui dietro» disse. «Ti piacerebbe vederla?».
«Veramente avrei un po’ freddo, signor Harvey, e poi la mamma mi vuole a casa prima che sia buio».
«È già buio, Susie».
Come vorrei che la cosa mi avesse insospettito! Io non glielo avevo mai detto il mio nome.
Alice Sebold, Amabili resti, edizioni e/o
Lei avrebbe accolto schiavi o ebrei in casa sua. Ed è per questo che quando l’uomo apparve, è per questo che quando le disse «posso disturbarla un attimo, signorina?», è per questo che quando lei vide che aveva gli occhiali pieni di ditate, un taglietto da rasoio sulla guancia, quando vide che aveva la stessa sciarpa scozzese di suo padre, si fermò. Fu istintivo; non ci
pensò due volte. Quell’uomo aveva la stessa sciarpa del padre.
Non si era accorta da dove fosse sbucato. Era un tizio apparentemente normale, tipo un semplice funzionario, con il giornale sottobraccio, la ventiquattrore con la cerniera dorata e lucente.
«Salve» rispose lei.
Il fratello era scomparso.
«Hai l’aria di avere fretta» disse l’uomo.
Lei non seppe cosa rispondere.
«Beh, direi di sì».
«Vorrei solo rubarti un attimo del tuo tempo».
Lei non pensò: Chi è? cosa vuole? è innocuo? Ecco cosa avrebbe dovuto pensare – tra i pensieri sotto i suoi pensieri c’era: Perché non stai pensando quello che dovresti pensare? […]
«Stai andando a scuola, immagino» disse lui.
«Infatti». Era risoluta, sicura di sé.
«Fai la quinta elementare? La prima media?».
Lei esitò; lui sbatté le palpebre; lei confermò la seconda ipotesi.
«Ho una proposta da farti». Deglutì di nuovo. Era così ricercato, quel modo di deglutire – disinvolto, stupendo.
Lei gli chiese: «Che genere di proposta?».
«Avrei bisogno del tuo aiuto. Ho un’idea e mi piacerebbe conoscere il tuo parere».
Lei disse in tono un po’ offeso. «Ah sì, avevo capito».
«Non ci vorrà molto. È… è davvero importante per me».
Leonora sarebbe dovuta scappare e non lo fece. Si preparò a scappare, conosceva i rischi, ma in quel momento, faccia a faccia con lui (il famigerato Lui, uno sconosciuto da manuale), l’istinto si limitò a suggerirle di ascoltarlo. Disse: «Cosa posso fare per lei?», e fu sorpresa dall’intonazione meccanica, distaccata, con cui quella domanda le venne fuori, come la voce di una cameriera stanca.
Sarah Braunstein, Il dolce sollievo della scomparsa, di prossima pubblicazione per 66thand2nd