Ho preso la gru di carta con l’indirizzo di Kyle («se ti senti sola» mi aveva scritto Jenny, non ricordavo nemmeno più quante settimane fa) e sono uscita in fretta e furia. Ma nell’istante in cui ho varcato la porta sapevo che non ne avevo bisogno. Sapevo perfettamente in che modo Jenny se ne era andata. Aveva lasciato tracce di sé ovunque, grondavano dai rami, sfavillavano dai lampioni, scorrevano lungo i canali di scolo. Quell’idrante antincendio non era di un rosso naturale, e sapevo che lei ci era passata accanto. L’albero all’angolo tra la Saint-Laurent e la Pine era di un verde impossibile, e sapevo che lei lo aveva toccato. Vicino a una macchina parcheggiata c’era una pozzanghera piena di arcobaleni – amaranto, cadmio, ceruleo, eliotropo, tangerino –, e sapevo che in quel punto lei si era arresa alle lacrime, le gocce erano cadute a terra finché i suoi occhi non erano diventati grigi come marmo. Ovunque era andata aveva versato colore, aveva macchiato il mondo attorno a lei. Questo era il sentiero di briciole di pane che aveva lasciato per me.
L’ho seguito attraversando diciannove isolati. Il tragitto non era sempre dritto; Jenny aveva girovagato, camminato in cerchi stretti, era tornata sui propri passi. In quei punti, lo sapevo, aveva avuto parecchi dubbi. Ma c’erano anche strisce di colore denso, ininterrotto, quando si era sentita sicura di aver preso la decisione giusta, l’unica possibile. All’angolo tra la Milton e Parc ho individuato una macchiolina vermiglia, e così ho capito che per un secondo si era perfino messa a ridere.
Mentre seguivo i suoi colori mi chiedevo se quello fosse amore. La capacità di scoprire l’umore della persona amata in ogni cosa, in un gatto randagio o in una molecola vagante, settimane dopo che lei ci era entrata in contatto. Mi domandavo come avrebbe reagito quando mi sarei presentata davanti alla porta di casa. Quando le avrei detto che ero dispiaciuta, che ero stata una stupida, che avevo sbagliato tutto. Quando mi sarei messa in ginocchio e l’avrei implorata di perdonarmi.
Sigal Samuel, I mistici di Mile End, Keller