Nessuno poteva trascorrere tutta la vita in un luogo senza sentirne la mancanza una volta che l’avesse abbandonato. Le fallacie patetiche, le proiezioni, sostituzioni e dislocamenti facevano tutti parte del traffico che inevitabilmente si stabilisce tra una mente e il paesaggio che la circonda, ma vista l’intensità patologica che aveva conferito a quelle attività, per Patrick era vitale comprenderne il significato ultimo. Come sarebbe stato vivere senza consolazioni, o senza il desiderio di esse? Non lo avrebbe mai scoperto, se non avesse sradicato il sistema consolatorio che aveva preso vita sulla collina di Saint-Nazaire per poi estendersi a ogni armadietto dei medicinali, a ogni letto e a ogni bottiglia in cui si fosse imbattuto; surrogati che surrogavano altri surrogati: il sistema era sempre più essenziale rispetto ai contenuti, e ancor più essenziale era l’atto mentale alla base del sistema stesso. E se i ricordi fossero stati ricordi e nient’altro, senza alcun potere consolatorio o persecutorio? Sarebbero esistiti, in quel caso, o era sempre una pressione di tipo emotivo a evocare immagini da quello che potenzialmente era l’intero campo delle esperienze vissute? Ma se le cose stavano in quei termini, dovevano comunque esistere bibliotecari migliori del panico, del risentimento e della nostalgia divorante, per frugare tra gli scaffali bui e sovraccarichi.
Edward St Aubyn, Lieto fine, Neri Pozza, traduzione di Luca Briasco