Usando la decina di vocaboli che avevo a disposizione potevo sopravvivere, mangiare e lavarmi, ma certo non addentrarmi nelle insidiose sfumature dei rapporti umani – e del resto non ne avevo neanche voglia. Nessuno riesce a capire fino a che punto Robinson Crusoe si godesse la sua solitudine. A modo loro, la casa di vetro e il giardino erano una specie di isola, persino tropicale, ma la differenza fra Crusoe e una transfuga a Bangkok nel Ventunesimo secolo erano i domestici con le cesoie da giardino, che dall’altra parte del vetro guardavano il farang – reperto A – allungato su un sofà che si esercitava con la calligrafia. Quelli su cui facevo veramente colpo erano i bambini, che passavano ore appesi ai rami, a mangiare pesce e a fissarmi preoccupati.
Lawrence Osborne, Bangkok, Adelphi, traduzione di Matteo Codignola