
Il presidente si prese una lunga pausa e fece un profondo respiro stirando i contorni della bocca e mettendosi meglio a sedere sulla sua poltroncina.
“[…] È innegabile che serpeggi ormai da molto tempo un profondo malcontento. Come potrebbe peraltro essere diverso? Tutti subiscono ogni giorno il peso di un paese in gravissima difficoltà, e senza dubbio alcuni dei cittadini che ne soffrono di più sono quelli rappresentati dal segretario. Detto questo, sono ben lontano dal credere che il mondo, o anche solo la nostra nazione, sia da buttare. Veniamo da un decennio di rapidissima e profondissima rivoluzione storica, a cui, per sua natura e – lo devo dire – per non grandissima lungimiranza dei governi che l’hanno assistito, il nostro Paese si sta adattando con più difficoltà di altri. Va anche sottolineato che quella sua stessa natura gli ha permesso, per certi aspetti, di subire meno la voragine in cui è sprofondato il mondo occidentale. Penso per esempio alle nostre banche e ai risparmi de nostri cittadini. Non voglio qui sbandierare del facile ottimismo, conosco meglio di chiunque altro lo stato in cui versa la nostra amministrazione. Non sono stato chiamato a presiedere il governo per portare avanti un programma politico, sono stato convocato per trovare una cura”.
“Peccato che la malattia e la cura, la purga dovrei dire, abbiano come sempre colpito i soliti” lo interruppe il segretario.
Il presidente si fermò, chiaramente infastidito.
“Trovo questo quantomeno ingeneroso” riprese con calma.
“Sarà anche ingeneroso, ma intanto, invece di andare a trovare il denaro da chi ne ha in esubero, siete andati a raccattarlo a tappeto da tutti senza misure di proporzione. Chi credevate che ne sarebbe uscito peggio? Perché invece di fare una vera patrimoniale avete deciso di alzare le accise sui carburanti? Cosa gli racconta a chi deve andare al lavoro in macchina?”
Pietro Grossi, “Lo sgabello”, L’uomo nell’armadio, Mondadori