Da scrittore e presumibilmente lettore di racconti, cosa cerchi in un racconto?
In quanto scrittore cerco di scrivere racconti che abbiano rispetto al romanzo una verticalità e un carattere scosceso. Più volte ho paragonato il racconto a un pezzo punk perché secondo me deve avere una melodia e una ritmica molto veloce. Mi piace sintetizzarlo graficamente con una verticale mentre invece il romanzo è un orizzontale. Quindi cerco sempre il piano inclinato di una frase che poi mi porta direttamente al finale.
Secondo te qual è la caratteristica principale che emerge dai racconti in concorso questa sera a 8×8?
I racconti di stasera sono più dei potenziali romanzi. Non ho ritrovato una velocità particolare. Nei casi più felici invece mi sarebbe piaciuto saperne di più sulla situazione, sui personaggi. Sembrano nascere come racconti contratti che in realtà avrebbero bisogno di più pagine per essere sviluppati.
Da autore di racconti e insegnante di scrittura creativa, quanto è possibile secondo te insegnare la forma e il ritmo del racconto e quanto di questo può essere appreso da uno scrittore esordiente?
Il racconto può essere la palestra dello scrittore perché ti costringe a fare economia di parole e a essere consapevole della loro importanza: meno parole ha un testo, più risalto ha una parola. In questo senso il racconto è più vicino alla poesia che non al romanzo, anche se scritto in prosa e non in versi. Quindi il racconto può essere effettivamente la forma con cui si inizia un percorso di scrittura. Ma può anche essere il punto più alto della scrittura proprio perché, a differenza del romanzo che può basarsi tutto sulla trama o sulle variazioni narrative, nel racconto si deve per forza fare uno scarto sullo stile data la brevità della storia e la presenza di pochi personaggi. Il racconto non può non avere uno stile e basarsi tutto sulla tecnica: diventerebbe un aneddoto, uno sketch. Il racconto può essere un buon punto di partenza anche per acquisire maturità. Mi viene in mente il percorso fantastico di Parise che iniziò con un romanzo astratto, Il ragazzo morto e le comete, poi passò al figurativo con Il prete bello e i racconti di La vita di provincia ma la summa l’ebbe con i Sillabari. La scrittura breve ha quindi questa doppia funzione: poter dare l’avvio ma anche consacrare, centrare la sintesi di un’esperienza di scrittura.
In un panorama editoriale che non lascia forse molto spazio al racconto e che crede abbia una diversa fortuna di pubblico, come si inserisce secondo te l’iniziativa di un concorso letterario come 8×8?
Da un lato può essere un trampolino per fare scouting, dall’altro per sensibilizzare al racconto stesso. Tutte le iniziative di questo genere sono le benvenute perché nonostante gli scrittori e frequentatori, i lettori e amanti del racconto abbiano smesso di piangersi addosso rispetto agli anni scorsi, è vero che il sistema editoriale continua ad avere dei pregiudizi sul racconto. Ancora oggi nelle librerie il racconto non trova molto spazio sugli scaffali. Anche all’estero tutto il mercato gira intorno a scritture più lunghe. Per cui 8×8 è utile per farci capire che invece esiste un pubblico e che se c’è un pubblico ci sono anche persone che si ritrovano per celebrare questa parte di mercato.
Intervista a cura di Martina Mincinesi e Sara Valente