Posts Tagged ‘scrittore’

C’è un unico vantaggio nel fare lo scrittore

23 settembre 2015

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Freddy mi lanciò uno sguardo obliquo, come se volesse dirmi qualcosa. C’è un unico vantaggio nel fare lo scrittore, ed è che la gente, non prendendoti sul serio, spesso ti racconta cose che non direbbe mai ai propri pari.

W. Somerset Maugham, “Il grano straniero”, Una donna di mondo e altri racconti, Adelphi, traduzione di Simona Sollai

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Gli scrittori Mork e gli scrittori Zeb

18 aprile 2015

La polveriera -- Petrocchi

“[…] Da una parte troviamo un gruppo di autori più giovani, a cui ho dato il nome di Mork, dall’altra ci sono invece scrittori più maturi, gli Zeb, da Zebulon Macahan di Alla conquista del West.”
Come il simpatico extraterrestre che in Mork e Mindy ha il caschetto e le smorfie di un Robin Williams non ancora trentenne, gli scrittori del primo tipo ostentano in ogni occasione un candore ai limiti dell’ingenuità. Non amano i discorsi troppo complicati e fanno mostra di non stimare troppo le proprie risorse intellettuali, mettendo in risalto, per contro, un’innata attitudine a empatizzare con l’altro. Sostengono inoltre di non tenere in gran conto le tecniche di scrittura, alludendo alla traboccante pienezza del loro talento sorgivo. Tendono infine a esordire con un piccolo editore di qualità, cui rimangono legati negli anni da un fraterno vincolo di amicizia, sebbene siano corteggiatissimi dai colossi dell’editoria nazionale.
Al polo opposto si collocano quelli che Luca chiama anche gli “scrittori dell’esperienza”, tutti invariabilmente reduci da qualcosa: viaggi umanitari in territori di guerra, periodi d’insegnamento in zone devastate dal disagio sociale, interminabili serie di occupazioni faticosissime. Non sono immuni neppure da un passato di burrascoso impegno politico, e tutte queste avventure hanno lasciato traccia sui loro volti solcandoli di rughe come la maschera dell’attore James Arness, lo scout Zeb che alla fine della Guerra di Secessione guida i Macahan attraverso le verdi praterie del West. Gli autori appartenenti a questa seconda categoria, composta sovente da uomini dal fisico nervoso dei grandi camminatori, amano vivere nella frugalità e distillare piccoli libri di memorie rapprese in frasi di perlopiù enigmatica saggezza.
Restando nel campo maschile, si potrebbe tentare di definire il gruppo degli Uomini bionici (prediligono le arti marziali), suggerisco con qualche timore di essere preso sul serio. Luca ribatte che la tipologia a cui si sta applicando, sulla base di un’intuizione che non esita a definire promettente, riguarda uno dei pochi casi di scrittore rappresentato nelle serie televisive.

Stefano Petrocchi, La polveriera, Mondadori

Condannato all’incancellabile

3 aprile 2015

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Si può certamente scrivere senza domandarsi perché lo si faccia. Uno scrittore che guardi la propria penna tracciare segni, ha il diritto di alzarla dal foglio e dirle: fermati! Cosa sai di te? verso cosa ti muovi? Non ti accorgi che il tuo inchiostro non lascia tracce, che vai avanti liberamente, ma nel vuoto, che, se non incontri alcun ostacolo, è perché non hai mai lasciato il tuo punto di partenza? E tuttavia scrivi, scrivi senza tregua, mi manifesti ciò che ti ho detto, mi riveli ciò che so; gli altri, leggendo, ti arricchiranno di ciò che da te prenderanno, ti renderanno ciò che avrai loro insegnato. Quello che non hai fatto, l’hai compiuto; quello che non hai scritto, è scritto: sei condannata all’incancellabile.

Maurice Blanchot, La follia del giorno, Elitropia edizioni

Per Paul Auster il blocco d’appunti è la casa delle parole

6 febbraio 2015

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Ho una vera e propria fissazione per i blocchi a quadretti piccoli. Per me il blocco d’appunti è la casa delle parole, il rifugio segreto del pensiero e dell’autocoscienza. Non mi interessano soltanto i risultati della scrittura, ma il processo in sé, l’atto stesso di mettere le parole sulla pagina.

Paul Auster, intervista su The Paris Review, 2003

La precisione è la virtù degli scrivani

5 febbraio 2015

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“Avrei dovuto capirlo. Certo, lei legge il greco da professore” disse. “Io lo leggo da poeta”.
“Trova che sia più poetico fraintendere un testo? Credevo fosse solo nella religione rivelata, che una traduzione errata migliora il senso”.
Alla fine, terminata la birra, Hayward lasciò il salottino di Weeks accaldato e scarmigliato. Con un gesto iroso disse a Philip:
“Quello è un pedante, naturalmente. Non ha sentimento della bellezza. La precisione è la virtù degli scrivani. È allo spirito dei greci che noi miriamo. Weeks è come quel tale che andò a sentire Rubinstein e si lagnò che stonava certe note. Cosa importavano le stonature, se suonava divinamente?”.

W. Somerset Maugham, Schiavo d’amore, Adelphi, traduzione di Franco Salvatorelli

Non sono il portavoce di nessuno. Scrivo per scrivere un libro

2 febbraio 2015

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Penso sempre al libro. Scrivo per scrivere un libro, per soddisfare quel bisogno, per guadagnarmi da vivere, per lasciare una giusta testimonianza quando me ne sarò andato, per cambiare ciò che ritengo incompleto e per migliorarlo. Non sono il portavoce di nessuno. Immagino che nessuno mi vorrebbe come portavoce.

V.S Naipaul, intervista su The Paris Review, 1998

La buona scrittura è dei nevrotici

1 febbraio 2015

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In ogni epoca, la buona scrittura è sempre stata il prodotto delle nevrosi di qualcuno, e se tutti gli scrittori fossero stati un branco di beati sciocchi avremmo una letteratura di una noia mortale.

William Styron, intervista su The Paris Review, 1954

Penso che morirò. Ho ingoiato una mosca

30 gennaio 2015

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Sono seduta sulle scale che sono ripide, incassate, buie. Penso che morirò. Ho respirato una mosca. Credo. La mosca era nella stanza e io avevo la bocca aperta perché ci stavo mettendo dentro una caramella. Poi la mosca non era più da nessuna parte. Ora si manifesta come un solletico e un raschio in fondo alla gola, sul lato interno, dalla parte del muro della cucina. Sono seduta con la testa ciondoloni e le braccia sulle ginocchia. Le mosche non piacciono a nessuno e si dice che siano sporche, piene di germi, perciò quale sistema migliore per andare al creatore che ingoiarne o inalarne una?

Hilary Mantel, I fantasmi di una vita, Einaudi, traduzione di Susanna Basso

Lo scrittore è un falegname

29 gennaio 2015

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Scrivere qualcosa è quasi difficile quanto fare un tavolo. Con entrambi hai a che fare con la realtà, un materiale duro quanto il legno. Entrambi sono pieni di trucchi e di tecniche. Fondamentalmente è richiesta molta poca magia e moltissimo duro lavoro. E come disse — credo — Proust, ci vuole il dieci percento di ispirazione e il novanta percento di traspirazione. Non ho mai fatto nessun lavoro di falegnameria, ma è il mestiere che ammiro più di ogni altro, specialmente perché non riesci mai a trovare qualcuno che lo faccia per te.

Gabriel García Márquez, intervista su The Paris Review, 1981

Sono le parole ad avere fame. Non sono io ad avere fame di parole

28 gennaio 2015

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You’ve […] written about the inadequacy of language, that we don’t always think in words, that speech does not cover our innermost realms. So perhaps it’s more accurate to say that you look for ways to describe what’s lurking behind and between the words. And very often, this is simply silence. There’s another scene in The Hunger Angel where Leo’s grandfather is staring at a calf, devouring it with his eyes, and in the book there is this word Augenhunger—“eye hunger.” Is there also such a thing as word hunger?
It’s the words that are hungry. I’m not hungry for words, but they have a hunger of their own. They want to consume what I have experienced, and I have to make sure that they do that.
Do you hear sentences in your head before you set them down?
I don’t hear any sentences in my head, but while I’m writing I have to see everything I’ve written. I see the sentence. And I hear it. I also read it out loud.
Do you read everything out loud?
Everything. For the rhythm—because if it doesn’t sound right out loud, then the sentence isn’t working. That means something’s wrong. I always have to hear this rhythm, it’s the only way to check if the words are right. And the crazy thing is that the more surreal a text is, the more closely it has to correspond to reality. Otherwise it won’t work. Prose like that always turns out badly—kitsch. Many people have a hard time believing it, but surreal scenes have to be checked against reality with millimeter precision, otherwise they don’t function at all, and the text is completely unusable. The surreal can only work if it becomes reality. So it has to be proofed against reality and built up according to realistic structures.

Hertha Müller, intervista su The Paris Review, autunno 2014