Guardai il muro, rotto, nero, della cascina, guardai in giro gli chiesi se Santa era sepolta lì. Nuto sâera seduto sul muretto e mi guardò col suo occhio testardo. Scosse il capo. â No, Santa no, â disse, â non la trovano. Una donna come lei non si poteva coprirla di terra e lasciarla così. Faceva ancora gola a troppi. Ci pensò Baracca. Fece tagliare tanto sarmento nella vigna e la coprimmo fin che bastò. Poi ci versammo la benzina e demmo fuoco. A mezzogiorno era tutta cenere. Lâaltrâanno câera ancora il segno, come il letto di un falò.
C. Pavese, La luna e i falò
29 aprile 2004 alle 18:52 |
due brani sulla morte, vista entrambe le volte come una sorta di immersione. involontaria, per cedimento, nel primo caso, e nel secondo più come una carezza, per coprire una cosa bella dalla consunzione degli sguardi altrui. bello, intrigante anche. se il mezzo tecnico l’avesse permesso sarebbe stato bello aggiungere la scena di Underground dove i due sposini si ritrovano sott’acqua, dopo la morte.